mercoledì 30 marzo 2016

RECENSIONE: WILLIE NILE (World War Willie)

WILLIE NILE World War Willie (River House Records, 2016)




Dopo la breve parentesi, unica e forse irripetibile, di IF I WAS A RIVER (2014), disco notturno di ballate suonate al pianoforte, WILLIE NILE si rituffa con immutato spirito combattivo nel rock’n’roll. Quello più divertente e cazzone, quello registrato live in studio da quasi buona alla prima. Un disco che si apre in modo epico con il testo di ‘Forever Wild’, un' esplicita dichiarazione di eterna giovinezza (sognare si può ancora), e con la seguente ‘Let’s All Come Togheter’, una chiamata alle armi, un invito a trasformare le cattive notizie che ci assalgono da ogni direzione in buone speranze. Non a caso nella foto di copertina (scattata da Cristina Arrigoni) Nile si è fatto ritrarre davanti ad una gigantografia che mostra le macerie di una Dresda bombardata durante la seconda guerra mondiale. Come a dire: davanti a tutto ciò possiamo solo fare di meglio. Ricostruiamo.
E se c'è qualcuno che di ricostruzioni se ne intende, questo è proprio il cantautore di Buffalo. Nile sta vivendo una seconda giovinezza che ha cancellato gli anni più bui piombati sulla sua carriera dopo i primi due basilari album d'esordio.
Allora sotto, ancora una volta, con il rock'n'roll.
Spinge sul rockabilly sporcato punk con la divertentissima ‘Grandpa Rocks’ dai contagiosi cori “oi!”: un simpatico giretto sopra a una Chevy 57 in compagnia del vostro nonno rock preferito, ascoltando gli Stones in autoradio e indossando con orgoglio la vecchia t-shirt dei Clash. Un nonno che non vuole mollare. Chi può dargli torto? Chi può fermarlo?
Una botta di vigore e divertimento attraversa quasi tutto il disco: ancora energici rockabilly con le chitarre di Matt Hogan davanti (‘World War Willie’, ‘Hell Yeah’), e (auto)ironici blues (‘Citibank Nile’, ‘Bad Boy’), interrotti solamente dalle romantiche parentesi d’amore (‘Beautiful You’, Runaway Girl’). Ad accompagnarci in questo giro tra le strade di New York, con le quattro frecce accese davanti ai vecchi mattoni del CBGB, i fidi Johnny Pisano al basso, Matt Hogan alle chitarre e Alex Alexander alla batteria siedono davanti al fianco dell’autista, con alcuni ospiti adagiati nel sedile posteriore: “l’Eagles” Steuart Smith, James Maddock, Leslie Mendelson, Christine Santelli. In più, due omaggi al rock da “artista fan del rock”: la sua folkie ‘When Levon Sings’ dedicata a Levon Helm e The Band (“Once Upon a time was a drummer in a band/He kept a mighty beat ‘cross the Promised Land/ He Played with a smile from ear to ear/ Now up in heaven all the angels wanna ear” ) e una ‘Sweet Jane’ per Lou Reed che chiude degnamente un disco, tra i più divertenti e spensierati della sua produzione, che conferma (ma non ne avevo bisogno) quanto Willie Nile sia un rocker senza carta d’identità.



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THE WHITE BUFFALO. Per la prima volta in Italia. Due date: 28 Luglio a Ravenna, 30 Luglio a Brescia

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