Cosa fai stasera? Vado a vedere i Wilco. E cosa suonano? Se qualche amico sprovveduto vi ha fatto una domanda del genere, sono contento per voi. Vuol dire che almeno una volta nella vita avete visto la band di Jeff Tweedy, se siete riusciti anche a rispondere, avete pure tutta la mia stima. Io non ci sono riuscito, mi sono barcamenato, mettendo sul piatto due possibilità: o li invitate al prossimo concerto in modo da renderli partecipi in prima persona e fare in modo che se ne innamorino (possibilità accertata e garantita), o cercate di spiegarlo, tirando fuori la parabola della puntura del buon Mario Brega alle prese con una siringa e la sora Lella nel film Bianco, Rosso e Verdone. La musica dei Wilco "pò esse' piuma e pò esse' fero", proprio come la mano del buon Brega. In alcuni momenti anche tutte e due le cose contemporaneamente, come avviene nella pazzesca e terremotante esecuzione di Via Chicago, primo dei tanti encores di stasera. Possono farti nuotare comodamente nel velluto con la leggerezza di una piuma e un momento dopo penetrarti la pelle e scorticarla a carne viva, come un ferro incandescente che marchia indelebilmente. Aprirti le porte del sogno americano con la visione di infiniti paesaggi assolati che saporano di libertà, elevarti a mille miglia da terra fino a farti vedere le stelle (nel senso meno doloroso del termine), per poi farti ripiombare sul suolo, infierendo ulteriormente e frustandoti nel retro bottega della periferia più sporca di una metropoli, mettendoti a nudo di fronte ai vuoti labirinti della mente.
Prima di tutto questo, ad aprire la serata, i giovani scozzesi The Hazey Janes (tre ragazzi ed una ragazza), in giro già da un decennio, un paio di dischi incisi, ma sconosciuti ai più. Il loro set strappa timidi applausi grazie ad una miscela di alt-folck/pop che va tanto di moda oggi. Nulla di nuovo ma una occasione che sfruttano a dovere per far circolare il nome.
Le radiazioni dei Wilco volano subito alte nell'aria satura del Teatro della Concordia a Venaria Reale(TO), illuminata dagli abat-jour al contrario, appesi in sala come già avvenuto nelle date dei concerti della scorsa primavera. Un modo per farti sentire comodo come sul divano di casa, in ciabatte ed un televisore 3D davanti, mentre invece: i piedi da terra sono già sollevati alle prime note di Misunderstood e i suoni, che sembrano provenire ed attaccarti da tutte le parti, arrivano dal palco che hai di fronte, dagli strumenti di 6 musicisti al massimo della ispirazione e di livello artistico eccelso.
Jeff Tweedy è un capobanda che comanda senza alzare troppo la voce, imbardato dentro al suo stretto giubbotto di jeans, al cappellaccio stampato in testa e alle sue grandi scarpe, indice di cervello fino, come si diceva una volta. Un cervello che ha attraversato momenti più bui e sofferenti ma di grande ispirazione, mentre ora sembra godersi il meritato successo con disincantata serenità, complice una formazione che ha ormai trovato la quadra ideale, dopo aver superato anche il lutto per la morte di Jay Bennett. Alla sua destra, la geniale schizofrenia chitarristica di Nels Cline, le sue performance sono una gioia per orecchie e occhi, e portano il suono del gruppo a livelli inimmaginabili; tecnica, virtuosismo e follia unita ad una esaltazione interpretativa che ha pochi eguali. Alla sua sinistra, il fido bassista John Stirratt unico membro originale insieme a Tweedy, sempre preciso ed utile a cori, poi il solido "tutto fare" british -style Patrick Sansone a chitarre e tastiere. Infine, la retroguardia formata dall'instancabile martellatore Glenn Kotche alla batteria e l'occhialuto Mikael Jorgensen alle tastiere e valvole varie, che sa giocare di fino ma anche strappare i tasti quando serve.
L'ultimo album The Whole Love è un buon biglietto da visita che la band di Chicago ci ha rilasciato nel 2011. Un disco di totale indipendenza. Dentro c'era tutto l'immenso immaginario della mente ondivaga di Tweedy, c'era il posto per i vecchi ricordi alt-country alla Uncle Tupelo di Born Alone e Whole love, l'amore per il pop/sixties di I Might, il tormentone power-pop trascinante di Dawned On Me, la psichedelia. Le stesse mille sfumature (altro che quelle di grigio colorate che vanno di moda in libreria, qui si gode e si sogna di più) che permeano i loro live. Art Of Almost è pura bizzaria musicale contaminata da effetti ad incastro che permette alla band di scatenare le tre chitarre. I momenti migliori del concerto si vivono, infatti, durante questi assalti che vedono i Wilco esaltarsi, dimostrando coesione e precisione che attualmente poche band possono vantare, il tutto con estrema classe, senza mai cadere nella banalità che il rock spesso predilige.
Tweedy è meticoloso nel proporre ogni sera qualcosa di nuovo al suo pubblico, ne sono testimonianza le altre due scalette di Padova e Firenze. Ogni sera prepara ombre e radiazioni per stupire i suoi adepti.
Raggi e oscurità che rapiscono i sensi nelle immancabili Impossible Germany da Sky Blue Sky(2007), diventata punto saldo di ogni loro concerto con la sua eleganza e con il suo finale jammato, la vecchia Passenger Side dal loro primo disco A.M.(1995), la controversa Jesus Etc. con Tweedy che invita tutto il pubblico a cantare, la beatlesiana Hate It Here, le scosse blues di Walken, e I'm the Man who loves you per l' iniziale trionfo personale del batterista Glenn Kotche.
Nell'ultimo quarto d'ora di concerto c'è tutta l'esaltazione del rock: le chitarre ruggiscono nei riff stonesiani di Monday, e Outtaside (Outta Mind), accoppiata vincente del loro secondo album Being There(1996), mentre si fa festa in Hoodoo Voodoo, presa dal primo capitolo Mermaid Avenue(1998)(come anche California Stars), disco che musicava i testi perduti di Woody Guthrie insieme a Billy Bragg. Qui, a salire sul palco anche lo scatenato roadie baffuto rimasto a torso nudo, che partecipa alla festa, suonando il suo campanaccio. Ed un pensiero a salire con loro a far festa e ringraziarli ti assale. Ma è troppo tardi. Si esce dopo più di due ore, tutti con il sorriso stampato in faccia e solo buoni e lusinghieri commenti positivi. Tutto perfetto per essere vero.
SETLIST:Misunderstood/Art Of Almost/Standing O/I Am Trying to Break Your Heart/I Might/Sunken Treasure/Born Alone/Laminated Cat/Impossible Germany/Shouldn't be Ashamed/Jesus Etc./Whole Love/HandShake Drugs/War On War/I'm Always in Love/Heavy Metal Drummer/Dawned on Me/Hummingbird/A Shot in The Arm/Via Chicago/Passenger Side/California Stars/Hate It Here/Walken/I'm The Man Who Loves You/Monday/Outtaside(Outta Mind)/Hoodoo Voodoo