domenica 23 settembre 2012

RECENSIONE: FEDERICO BRUNO ( A Gentleman Loser )

FEDERICO BRUNO A Gentleman Loser ( Secondo Avvento produzioni, 2012)

Federico Bruno ha già scelto da che parte stare. In Italia, una scelta come la sua passerà sempre e comunque come una "scelta da pazzi", da perdenti appunto. Conosco avvocati che si attaccherebbero a qualunque cosa pur di avere una scrivania su cui appoggiare i piedi. Federico, ad un certo punto della sua vita, ha scalciato la sedia dell'ufficio e ha provato ad inseguire il suo sogno. Già questo meriterebbe rispetto; peccato che non faccia pop da classifica, perchè qui in Italia la sua musica difficilmente verrà premiata e la meritocrazia è l'utopia del secolo. Il tutto naturalmente depone a suo favore, qui,dalla nostra parte, quella dei perdenti ma onesti. Da oggi anche un po' più gentleman.
Registrato a Padova con l'aiuto di Manuel Bellone al basso e Domingo Cabron alla batteria, sotto la produzione di Mahatma Pacino e con la preziosa collaborazione di altri amici musicisti. Con una copertina che mi ha subito rimandato a Whiskey for the Holy Ghost di Mark Lanegan, dove però nessun fantasma fa ombra al tavolo: Federico è lì, presente, vivo con la sua sigaretta accesa e il bicchiere davanti. Il siciliano Federico Bruno vuole raccontarci la sua vita: lo si capisce subito quando parte la prima strofa di Burning star: "This is my life..."come un Mike Ness solista senza i suoi Social Distortion.
Ballate elettro-acustiche (I Fought the Devil (But he won))che di whiskey e fumo sembrano nutrirsi come faceva il primo Rod Stewart, quello ancora lontano da tutine colorate e paillettes, o meglio come faceva nei Faces in compagnia di quella faccia da schiaffi di Ron Wood. Come avrebbero potuto fare ancora per tanto tempo quel poco di buono di Johnny Thunders o quel poeta maledetto che fu Nikki Sudden se fossero ancora tra noi. Come facevano tutti quei personaggi di certo sleaze glam ottantiano (Roman Candle,Troubles), quelli più vissuti, genuini e meno appariscenti, quando salivano sopra ad un palco cercando di reinterpretare  la lezione impartita, qualche anno prima, dagli Stones in esilio parigino. O come nei novanta, quando il grunge staccava la spina e manteneva intatto tutto il suo carico emotivo di disagio e voglia di comunicare con il mondo.
Il crepuscolo di chi sa di dover remare contro tutto e che si sente, a volte, intrappolato o inadeguato nell'amaro folk di Trapped, poco amato e pieno di ferite aperte (Scars on my heart), ma sempre combattente e mai domo, nello scoppiettante rockabilly acustico di Like Once I did e pronto per continuare ad amare con rinnovato spirito (I Love You).
Ballate amare e intimistiche, confessioni in musica che improvvisamente cambiano di umore, quasi a voler rivendicare ad alta voce una appartenenza (Gentleman Loser), assoli di chitarra che escono dai cocci di vetro di Broken Glass che si chiude come un vecchio gospel blues innaffiato nell'alcol. La scelta, controcorrente, di danzare sotto la pioggia quando tutti si mettono in mostra sotto il cocente sole, in Dancing in The Rain.
Ecco, questo è un disco che vuole dare voce  a tutti quelli che, almeno una volta nella vita, si sono trovati soli davanti ad un bancone con un bicchiere pieno e la testa svuotata, pronta ad essere riempita da capo.
Il disco di Federico Bruno è un disco di cuore, pancia e sentimento. Di petali rossi che galleggiano nell'alcol ma che di affondare non ne vogliono sapere.

1 commento:

  1. altro che One Last Ciofega e GRRRande Cazzata questo disco puzza di blues e rock n roll e da vero signore quale è come dice il titolo

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