giovedì 6 maggio 2021

RECENSIONE: GARY MOORE (How Blue Can You Get)

GARY MOORE  How Blue Can You Get (Provogue, 2021)



aperti gli archivi!

Ricordo ancora con un certo rimpianto la mia rinuncia a quel concerto di Gary Moore a Milano nel Luglio del 2010. Non ricordo il motivo della mia assenza ma ricordo benissimo che volevo assolutamente andarci. Ma chi poteva saperlo che fu l'ultimo in Italia: pochi mesi dopo, il 6 Febbraio del 2011, il suo corpo fu trovato esamine dalla sua compagna in una stanza d'albergo nella Costa del Sol in Spagna.  Sono passati dieci anni, mentre io continuo a vangare tra i ricordi cercando una valida motivazione alla mia assenza, esce sul mercato quello che a tutti gli effetti si può considerare il primo disco postumo di inediti (nel 2012 uscì il live Blues For Jimi). Otto canzoni sono forse poche per questo primo evento ma la qualità è veramente buona e sicuramente ora che gli archivi sono stati aperti, questa uscita non rimarrà isolata per molto tempo. Il Gary Moore passato in rassegna è quello della svolta blues partita da Still Got The Blues (1990) e arrivata fino alla morte con l'ultimo disco inciso Bad For You Baby (2008). Ad accompagnare Moore ci sono il bassista Peter Rees, le tastiere di Vic Martin e le batterie di Darrin Mooney e Graham Walker. Un disco che ricalca le uscite di quel periodo, dove cover, riletture e brani inediti vengono assemblati insieme. Qui troviamo quattro cover: una torrenziale 'I'm Tore Down' di Freddie King dai toni quasi hard, canzone che Moore amava spesso presentare durante i suoi live, un'altra vivace, strumentale e travolgente 'Steppin' Out' di Memphis Slim, lo standard di BB King 'How Blue Can You Get' del 1964 che da il titolo al disco e una frizzante 'Done Somebody Wrong' di Elmore James. Le quattro canzoni firmate da Moore sono la notturna 'In My Dreams' ballata con Moore che fa piangere la sua chitarra, il quasi rural blues 'Looking At Your Picture' e poi due rivisitazioni di suoi vecchi brani: 'Love Can Make A Fool  Of You' ripescata da Da Corridors Of Power del 1982, ripulita dagli orpelli anni ottanta e trasformata in un blues malinconico con un grandissimo assolo, infine 'Living With The Blues', un'altra classica ballata dal tocco alla Gary Moore  a chiudere il disco. 

A Moore non importava troppo vendere dischi, l'importante era rimanere sempre onesto e in linea con le proprie idee musicali. Probabilmente, però, questo disco venderà di più rispetto agli ultimi dischi in vita, usciti un po' in sordina e dimenticati in fretta. Ne sono sicuro. 

In un'intervista rilasciata al Belfast Telepraph a proposito delle sue smorfie mentre suonava disse:" potrebbero essere di dolore o di piacere. La gente mi prende in giro per questo, ma non c'è nulla di artificioso. Quando suono mi perdo completamente e non sono nemmeno consapevole di quello che sto facendo con la mia faccia - sto solo suonando ".

E in questo disco suona ancora molto bene tanto da riuscire ad immaginare quelle smorfie sul suo volto.





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