giovedì 1 ottobre 2015

RECENSIONE: GLEN HANSARD (Didn't He Ramble)

GLEN HANSARD Didn’t He Ramble (2015)






In principio, a tredici anni, c'era la musica di strada per le vie di Dublino (l'attività di busker continua ancora adesso che è famoso come forma di divertimento e autoanalisi), poi ci fu The Commitments, celebre film di Alan Parker, affresco illuminato di una Dublino dove i giovani cercavano nella musica il sollievo che la società non riusciva dare loro. Tra i tanti musicisti e attori non professionisti che contribuirono a rendere The Commitments un film di culto, molti si sono persi, ma tanti altri, proprio da quel 1991, hanno iniziato una nuova carriera. Tra questi ci fu il rosso Glen Hansard che nella pellicola interpretava il simpatico Outspan Foster, chitarrista della band soul protagonista del film di Parker. Hansard che non ama parlare troppo di quel film, da allora ha continuato una carriera in crescendo: ha inciso sette dischi con il suo primo e principale gruppo rock The Frames e tre con il duo The Swell Season, insieme a Markèta Irglovà (che diventerà sua compagna) arrivando a vincere con questi ultimi, nel 2008, un oscar per la miglior colonna sonora con Falling Slowly, canzone contenuta nella soundtrack del film indipendente Once-recentemente diventato un musical- che ha avuto un gran successo in America e che lo vede impegnato anche come attore protagonista insieme alla stessa Irglovà. Poi, ancora tante soddisfazioni: come aprire i concerti australiani di Bob Dylan, uno dei suoi idoli musicali di sempre insieme a Van Morrison; la collaborazione con Eddie Vedder per UKULELE SONGS (voce in Slepless Nights); aver conosciuto un giovanissimo Jeff Buckley che faceva il roadie per i suoi Frames.
Bene. Fino a qui ho fatto un semplice e sbrigativo copia incolla (dannata pigrizia) di parole già spese per presentare il suo primo disco solista RHYTHM AND REPOSE uscito nel 2012. Era un disco dolente, sincero, romantico e interamente influenzato dall’allora recente separazione dalla compagna. Un disco carico di phatos, intimo e rarefatto. Hansard sembra essersi ripreso alla grande da quella batosta e questa volta, pur mantenendo fede alle sue caratteristiche peculiari: gran scrittura dei pezzi (My Little Ruin e Just To Be The One sono esempi di canzoni perfette) e voce che sa toccare le corde giuste, sostituisce l’uniformità musicale e d’intenti che caratterizzavano RHYTHM AND REPOSE con dei guizzi da fuoriclasse che riescono a mettere in fila tutte le influenze di una vita. Dal fantasma di Dylan che appare più volte (Winning Streak con Sam Beam-Iron And Wine- e Sam Amidon ospiti alle voci), a Van Morrison nel soul/gospel di Her Mercy che esplode nella girandola di fiati finale, a Springsteen (ma anche Mellencamp) in Lowly Deserter che pare uscita da una serata passata a suonare le Seeger Sessions, all’amata Irlanda di McCormack’s Wall che nasce spoglia dai tasti di un pianoforte e muore come una giga indemoniata con il violino di John Sheahan dei Dubliners protagonista, al folk crepuscolare e solitario della finale Stay The Road. Se il precedente fu registrato nella sola New York e ritraeva la figura di un uomo solo e disperato, DIDN’T HE RAMBLE è nato in giro per il mondo, tra New York, la Francia, Chicago e Dublino e disegna il profilo di un uomo in pace con il mondo, ma sempre profondo ed viscerale quando si tratta di mettere nero su bianco i propri sentimenti. Il resto scopritelo voi. Un bollino guadagnato per i miei dischi dell'anno.



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