venerdì 26 dicembre 2014

RECENSIONE: WILLIE NILE (If I Was A River)

WILLIE NILE If I Was A River (Blue Rose, 2014)



8 Dicembre 1980. E' tarda sera, sono passate le 22, John Lennon e Yoko Ono lasciano gli studi Record Plant di New York dove stanno lavorando all'album Milk & Honey, seguito gemello del precedente lavoro di coppia Double Fantasy. Prendono il taxi per dirigersi verso il Dakota Building, complesso sulla 72esima strada a un passo da Central Park, dove risiedono in un lussuoso appartamento. Mentre stanno scendendo dal taxi per raggiungere l'entrata, negli studi A del Record Plant che hanno appena abbandonato, i tasti di un pianoforte Steinway vengono battuti ripetutamente: una, due, tre, quattro, cinque volte come gli spari di quella Calibro 38 stretta  nella mano assassina di Mark David Chapman, squilibrato mimetizzato tra i fan che campeggiano davanti al Dakota  in attesa dell'arrivo di Lennon. Cinque colpi cinque. Alle 23 e 09 John Lennon venne dichiarato morto al Roosevel Hospital. Nel 1981 esce Golden Down il secondo album di Willie Nile.
Natale è passato da un solo giorno, un peccato, perché If I Was A River ha tutte le caratteristiche dei migliori dischi da mettere sotto l'albero. Un dono che qualunque amante del rock amerebbe ricevere, anche se le chitarre sono quasi del tutto assenti, la "casa delle mille chitarre" non è qui, questa volta. Un disco che scalda anima e cuore attraverso i soli tasti di un pianoforte, strumento protagonista dalla prima all'ultima nota di queste dieci canzoni, dieci ballate accorate, spoglie, che potevano essere contenute in Cold Spring Harbor di Billy Joel, in un disco di Bill Fay o Randy Newman, composte dal miglior Springsteen introspettivo.
Non è stato usato un pianoforte qualsiasi come sottolinea Nile nelle note introduttive presenti nel booklet: "Questo album è stato registrato con lo stesso piano Steinway che suonai la notte in cui John Lennon fu assassinato l'8 Dicembre del 1980. Ero nello Studio A del Record Plant di New York e stavo registrando il mio secondo album, mentre John e Yoko stavano lavorando nello Studio C quella notte". Lo stesso pianoforte usato da alcuni grandi del rock: John Lennon appunto, Bruce Springsteen, Randy Newman, Elton John, David Bowie. Ecco perché piacerebbe a qualunque rocker, duro e puro ma dal cuore perennemente sanguinante.
Willie Nile aveva in testa questo disco da molto tempo. Un disco che esula totalmente dalla sua discografia, soprattutto inaspettato dopo un album vario ma essenzialmente rock'n'roll come il precedente e fortunato American Ride, ma che non sorprende del tutto. Chi conosce Nile sa quanto il lato puramente drammatico ed emozionale della sua scrittura faccia spesso capolino tra gli attacchi delle ruggenti chitarre: una canzone come On The Road To Calvary del 2004, dedicata a Jeff Buckley, valga per tutte.
Un lavoro omogeneo nella sua globalità (34 minuti) ma  ficcante, spirituale, coraggioso, dove Nile si dimostra songwriter e interprete di primo livello, che sta vivendo, a 66 anni, una seconda parte di carriera ispirata e dettata dalla mai sopita voglia di provare nuove strade. "E' senz'altro il momento migliore della mia vita musicale. Sto scrivendo le mie cose migliori. Ed è una rarità quando uno invecchia", dichiara Nile in una intervista.
Passione bruciante la sua. La semplice unione tra le liriche profonde e sentite con un pianoforte  che suona seguendo i dettami "classici" ereditati dall'infanzia (fu il suo primo strumento), un binomio che sa esaltare la struggente drammaticità (Lost), l'epicità (Gloryland), l'introspezione (I Can Do Crazy (Anymore))-ben evidenziata anche dal bel lavoro fotografico di Cristina Arrigoni-, l'intimità che sboccia nell'amore, nel viaggio (If I Was A River, The One You Used To Love, Let Me Be The River) ma che sa anche uscire con l'esaltante, divertita, corale e dissacrante Lullaby Loon, o agganciarsi alla tradizione folk (l'irish di Song Of A Soldier, Goin' To St. Louis). Pochi ma di classe gli interventi esterni: Steuart Smith (chitarre, basso, hammond), David Mansfield (mandolino, violino, viola), Frankie Lee (cori) e Stewart Lerman come produttore.
Fatelo suonare di sera, nell'oscurità, mentre aspettate la vostra personale salvezza. Anche se Natale è passato, anche se non ci sono le chitarre, anche, e soprattutto, se il vostro cuore sanguinante non ha trovato ancora il giusto tampone.






vei anche
RECENSIONE: WILLIE NILE-American Ride (2013)








RECENSIONE: MARY CUTRUFELLO-Faithless
World (2014)









VOTA IL DISCO DELL'ANNO 2014












Nessun commento:

Posta un commento