martedì 3 giugno 2014

RECENSIONE: LEE BAINS III & THE GLORY FIRES (Dereconstructed)

LEE BAINS III & THE GLORY FIRES Dereconstructed (Sub Pop, 2014)



Sarebbe bastato ripetere la formula del debutto There Is A Bomb In Gilead uscito due anni fa per ottenere buoni consensi. Uno dei migliori dischi di quell'annata. Ma evidentemente Lee Bains con i suoi Glory Fires non si accontenta, avendo altre buone qualità-travestite da rabbia- da mostrare. Là dove il debutto era un concentrato di southern/swamp rock caricato a salve da magniloquenti, accecanti, limpide e calde striature soul distribuite anche lungo tranquille camminate nel country, in questo seguito vengono lucidate a dovere le canne dei fucili, pronte per sparare una raffica di tosto e spavaldo garage rock, sporco proto punk-i fumi da polvere da sparo di Stooges e MC5 appaiono ad intossicare in continuazione-con chitarre sature di fuzz e feedback (il nuovo chitarrista Eric Wallace ci mette il suo), talmente carico d'elettricità da mettere in ombra persino la bella voce di Lee Bains che così bene si era messa in mostra nel debutto: qui si fa più graffiante nel cercare di emergere tra amplificatori tarati al massimo delle loro possibilità. Quasi difficile riconoscere la stessa band del debutto dietro a canzoni tirate come l'iniziale denuncia sociale che esce da The Company Man con i suoi riferimenti espliciti ai movimenti d'occupazione che misero sottosopra gli USA solo due anni fa, l'urgenza stordente della title track, lo stomp blues iper vitaminizzato di Burnpiles Swimming Holes, la deflagranza punk di Flags. I cambi in formazione avranno avuto il loro peso, la voglia di non ripetersi anche. La voglia di divertirsi con il rock'n'roll pure. Lo si riconosce allora, quel cordone ombelicale che li lega a certi suoni, in episodi comunque ben camuffati come What's Good And Gone, il fiume melmoso e southern di Mississippi Bottom Land, in We Dare Defend Our Rights!, e la finale, programmatica e summa dell'intero disco Dirt Track, tutti classic rock ancora tosti dove emerge però il cantato e il retro bagaglio soul, black e rurale della loro Alabama. Tutti buoni esempi di come si deve vivere e raccontare il sud degli States negli anni duemila.
Nessuna ripetizione, quasi un nuovo debutto. I primi due ascolti sono stati accompagnati da un momentaneo smarrimento, poi fila via tutto liscio, confermando Lee Bains III & The Glory Fires come una delle più vere, adrenaliniche e fulgide rappresentanze del rock odierno a stelle e strisce, mistura bilanciatissima (se si affiancano i due dischi prodotti fino ad ora) tra southern roots, quello '70-senza mai cadere nel mero revival-e citazioni più moderne e taglienti a gruppi di riferimento come Drive-By Truckers (nuovi eredi?), con in più il furore indomito del punk rock, tutto unito ad una dose di coraggio non indifferente nell'affrontare temi scottanti con occhio attento e critico, conservatore ma progressista e moderno allo stesso tempo (religione, razzismo, politica, amore per la propria terra) in liriche rilevanti e per nulla scontate. La classica band da cui non si saprà cosa aspettarsi quando arriverà l'ora del terzo disco. La speranza più ovvia e scontata sarebbe l'unione più coesa tra le due anime che ci hanno fatto conoscere fino ad ora. A questo punto, io, di mister Bains, non mi fido più.



RECENSIONE: LEE BAINS III & THE GLORY FIRES-There Is A Bomb In Gilead (2012)
RECENSIONE: DRIVE-BY TRUCKERS-English Oceans (2014)
RECENSIONI: CHRIS ROBINSON BROTHERHOOD-Phosphorescent Harvest (2014) THE CADILLAC THREE-Tenneessee Mojo (2014) WHISKEY MYERS-Early Money Shakes (2014)

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