lunedì 11 aprile 2016

RECENSIONE: HAYES CARLL (Lovers And Leavers)

HAYES CARLL    Lovers And Leavers (Thirty Tigers, 2016)





Hayes Carll è uno di quelli buoni. Mi è sempre piaciuto. Il texano ritorna dopo cinque anni di assenza discografica. Tanti. Senza fretta e con una relazione importante fallita alle spalle. Succede. Da qui, e dalla nascita di un figlio, a cui dedica il country di 'The Magic Kid' riparte tutto. Perché bisogna sempre ripartire. Dopo aver raccontato di vagabondi, poeti e epiche bevute (TROUBLE IN MIND), dopo le stoccate politiche lanciate con il precedente KMAG YOYO, questa volta scava nella profondità delle relazioni umane con dieci ballate acustiche intense, profonde, illuminanti, ma anche ironiche, dove i paesaggi schiariti dalle luci di città e quelli dimenticati nelle ombre della profonda America fanno da sfondo alla vita e a ciò che ci riserva. Dieci canzoni (scritte a quattro mani con diversi autori tra cui Jim Lauderdale) cariche di riflessioni, confessionali (il lento walzer 'You Leave Alone') e avvolte intorno ai tanti cambiamenti di questi ultimi anni. Un salto quasi abissale dalla gioventù alla maturità. Si mette a nudo da autentico heartbreaker, non ha freddo ma trasmette calore e qualche speranza. Autentico.
Produce Joe Henry, una garanzia, che gioca di sottrazione con i risvolti acustici della musica americana infarciti da chitarre dal passo spesso pigro ('Drive') con rari scatti in avanti (la più frizzante 'Love Is So Easy'); suonano Jay Bellerose alla batteria, David Pilch al basso, Tyler Chester al piano e Wurlitzer e Eric Heywood alla pedal steel. Altre garanzie. Un po' Townes Van Zandt, John Prine e Guy Clark, un po' Steve Earle, un po' Ray Wylie Hubbard e Todd Snider, due amici questi ultimi. Un bel ritorno, a voce bassa e atmosfere unplugged.



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