Con il sacro gioco del calcio ai minimi storici di credibilità, lo stadio San Siro ha ospitato, nel giro di una settimana, le due ultime icone di fede "apparentemente" credibili rimaste. Anche se, su una delle due ho sempre nutrito forti dubbi. Solo pochi giorni hanno separato il weekend milanese di Papa Ratzinger da Bruce Springsteen. Ma la differenza non la fanno solo i giorni. Ratzinger ha sfoggiato palchi avveniristici (quello all'aereoporto di Bresso-MI era quasi pinkfloydiano) ed impiegato tre giornate per conquistare i milanesi (credenti) e forse mai riuscirà a convertire nuove anime; a Bruce sono bastate 3 ore e 40 minuti (qualcosa da studiare scientificamante, altro che il sangue di Ozzy Osbourne) ed un palco spoglio come sempre, senza trucchi, maggiordomi corvi e personale che pensa a tutto, anche al conto delle lettere nei discorsi. A Springsteen bastano le canzoni, ma anche a tutto il resto sembra pensare lui. E' ancora lui a trascinare la forza di una festa più forte della punizione divina (la prima in Italia senza "big" Clarence), che non accenna a fermarsi o solo rallentare. Anzi, si gioca sempre al rilancio e la funzione del giorno prima non è mai uguale a quella del giorno dopo. Lui sì, i nuovi adepti sa conquistarseli. La vera famiglia era riunita qua, stasera.
E poi? E poi sapevo che mi sarei trovato qui, seduto, davanti a questo schermo, con il livello di adrenalina ancora abbondantemente sopra a quello di soglia, di poco inferiore a quello che ho raggiunto solo poche ore prima, quando San Siro è esploso, con i suoi livelli di suono finalmente modificati al rialzo-quelli sì finalmente giusti ed adeguati- sulle note di We Take Care Of Your Own. Brividi che stanno in standby tra un concerto e l'altro. Possono passare pochi mesi o molti anni, ma sono sempre lì, pronti ad uscire alla prima nota del primo brano dell'ultimo concerto. Succede solo con lui. Così come, solo per lui, calco questi spazi, che reputo sempre troppo grandi per godersi un buon concerto. Solo per lui. Mi spiace per tutti gli altri.
Sapevo che Wrecking Ball, un disco che continuo a non farmi piacere così come un vero fan non dovrebbe fare, sarebbe stato rivalutato-alle mie orecchie- incastrato dentro a quasi quattro ore di musica, celebrate nella prima chiesa italiana che lo accolse a braccia tese. Ci furono i giorni di gloria del 1985: il battesimo italiano con dieci anni di ritardo rispetto al mondo; il ritorno benedetto dal diluvio divino nel concerto eroico del 2003; la bella scaletta dei giorni magici nel 2008 e lo strascico di polemice per i fantomatici 22 minuti di sforamento. La quarta volta a San siro in questo Giugno 2012: unico artista internazionale a fare poker alla scala del calcio Giuseppe Meazza, chiamiamolo anche così, che poi i calciatori si arrabbiano.
Il solito e completo concentrato di quello che il rock di Springsteen è in grado di offrire. Tutto dentro al corpo/animo di un sessantatreenne che sopra al palco continua a non risparmiare nessuna goccia di sudore. Quel vecchio detto: "il mondo si divide in chi ha visto Springsteen ecc...ecc..." continua ad essere valido, senza scadenze. La sua messa non ti tradisce mai: quando entri sai cosa aspettarti, quando esci, hai ricevuto sempre quel qualcosa in più che non ti aspettavi, e saresti già pronto a riniziare tutto il giorno dopo. Anche le canzoni di Wrecking Ball, qui esplodono e raggiungono pienamente il loro obbiettivo e fanno da scheletro ad una scaletta che ogni sera sa stupire (33 canzoni!). Bella e sentita Jack of All Trades-con dedica a tutti quelli che stanno lottando in America come in Italia, We Are Alive sarebbe piaciuta tanto a Johnny Cash, Death to my Hometown trascina.
La pioggia prevista non ha osato disturbare (eppure qualcuno-sotto sotto- sperava di sentire Who'll stop the Rain come qualche giorno prima a San Sebastian in Spagna o come nel 2003 proprio qui a Milano) ed è rimasta chiusa fuori come le tante persone che erano alla disperata ricerca di un biglietto (settore prato sempre il più ambito...). Dentro al campo, la consueta girandola multigenerazionale di persone che seguono Springsteen. Bruce ha sempre pensato a tutti i suoi fans."Quando salgo sul palco ho sempre in mente di essere al concerto degli Who del 1965 nella Convention Hall di Asbury Park. Ci immagino sempre un ragazzo là...Forse c'è un ragazzo di quindici anni che sta pensando di suonare la chitarra. Forse ha delle idee. E stasera devo essere al meglio, devo andare meglio che mai perchè voglio ispirare quel ragazzo". Questa la sua filosofia.L'anticipo del tour americano e le date europee lo davano in gran forma. Tutto mantenuto e diciamocelo: stasera a San Siro ha strafato, facendoci un grande regalo.
Tanta gente sopra al palco oltre alla E Street Band: c'è posto per la nutrita sezione fiati, compreso il nipote di Clarence Clemons, Jake che si sta ritagliando sempre più spazio, un percussionista, più i tre coristi a donare quel tocco soul/black che caratterizza l'ultimo album e questo tour. Max Weinberg è il solito martellatore, elegante e compassato. Little Steven la spalla ideale sempre buona per gli scherzi, gli altri (Roy Bittan, Garry Tallent, Nils Lofgren, Suzie Tyrell, Charlie Giordano ) svolgono il loro compito alla grande ma con il passare degli anni sono letteralmente schiacciati dalla personalità del capo.
Bruce tiene in piedi la band. Non il contrario.
Bruce tiene in piedi la band. Non il contrario.
"Prendetevi cura di voi stessi" è il primo monito del concerto. Inizia a prenderci per mano così ,con We care take on our own e Wrecking Ball, quasi a voler raccogliere tutta la rabbia accumulata per poi lasciarsi andare, in discesa, per il resto della serata.
My city of Ruins è la canzone per presentare la band ma anche per ricordare chi è lontano in questo momento ("Patti è a casa con i figli e vi saluta") e chi purtroppo non c'è più.
L'accoppiata Spirit in the Night, The E street Shuffle riporta al Jersey Sound degli esordi, con la fantastica reprise della seconda che diventa jam, l'altra accoppiata Candy's Room, Darkness on the Edge of Town è pura, spigolosa energia rock. Radio Nowhere si poteva evitare. Johnny 99 parte solo chitarra e voce per poi trasformarsi nella versione "treno" che abbiamo già conosciuto negli ultimi tour.
Penso che a Bruce il concerto di Milano 1985 sia veramente rimasto nel cuore: No Surrender, Working on the Highway, Born in The Usa (che bello risentirla dopo tantissimo tempo, ma soprattutto dopo averla odiata), Bobby Jean, Dancing in the Dark, Glory Days, sei canzoni estrapolate da Born in the USA. Un tuffo indietro di ventisette anni. Bruce ama Milano("...this is a very special place"). Ora è chiarissimo!
Da pelle d'oca The River ma soprattutto la sorpresa The Promise, uno dei gioielli di Springsteen, fatta in solitaria al pianoforte.
Bruce cerca sempre il contatto con il suo pubblico "La cosa più importante è il pubblico, la folla è l'unica cosa che conta in uno spettacolo". Un rispetto che non è mai venuto a mancare durante la sua carriera, anche nei momenti più difficili. Qualche altro artista in quarant'anni di carriera non l'ha mai capito. Ecco così, la fortunata ragazzina (che domani mattina potrà vantarsi a scuola) chiamata sopra al palco a cantare con il saggio nonno sulle note di Waitin' on a Sunny Day, ormai diventata la canzone dei siparietti così come lo era Dancing in the dark trent'anni fa, quando il nonno era ancora ragazzo e al posto della ragazzina c'era un'avvenente fanciulla cresciutella, che Bruce, poi, riesce a trovare anche stasera, peccato volesse ballare con Jake Clemons, come da cartello. Bruce è di cuore buono. Accontenta pure lei.
Bruce da il cinque a Claudio Trotta (il promoter amico), lì sotto il palco. Bruce bacia una ragazza. Bruce raccoglie tutto quello che può (bambole, salvagenti, bandiere e cartelli) e li trasforma in spettacolo come un prestigiatore. Poco importa se tutto l'hai già visto milioni e milioni di volte.
Difficile trattenere la lacrima quando Tenth Avenue Freeze-Out si interrompe. Cala il silenzio. Sullo schermo le immagini di Clarence Clemons. Parte l'applauso. La E Street Band riparte. E' la vita.
Springsteen ha voglia di suonare, di divertirsi. Tira fuori dal cilindro Cadillac Ranch.
L'encore normale non gli basta. C'è ancora tempo e voglia per Glory Days e una Twist and Shout che dopo tre ore e quaranta minuti, senza una pausa, decretano la fine. Se potesse, continuerebbe fino all'alba e noi con lui. Già finito?
Anche stavolta si è sforato di venti minuti. Bruce ha voluto fortissimamente riprendersi Milano dopo lo sgarro di quattro anni fa. Bruce da quarant'anni si è preso anche il rock.
La prossima fumata bianca la voglio per lui.
SETLIST
1.We Take Care Of Our Own/2.Wrecking Ball/3.Badlands/4.Death to My Hometown/ 5.My City of Ruins/
6.Spirit in the Night/ 7.The E Street Shuffle/ 8.Jack of All Trades/ 9.Candy's Room/ 10.Darkness on the Edge of Town/ 11.Johnny 99/ 12.Out in the Street/ 13.No Surrender/ 14.Working on the Highway/15.Shackled and Drawn/ 16.Waitin' on a Sunny Day/ 17.The Promised Land/18.The Promise/ 19.The River/ 20.The Rising/21.Radio Nowhere/ 22.We Are Alive/ 23.Land of Hope and Dreams/ 24.Rocky Ground/25.Born in the U.S.A./ 26.Born to Run/ 27.Cadillac Ranch/28.Hungry Heart/ 29.Bobby Jean/ 30.Dancing in the Dark/ 31.Tenth Avenue Freeze-Out/32.Glory Days/33.Twist and Shout (The Isley Brothers cover)