BILLY GIBBONS Hardware (Concord REcords, 2021)
Un, dos, tres
Dopo la sbornia cubana di Perfectamundo, l'omaggio al blues di The Big Bad Blues, il terzo album solista di BILLY GIBBONS pare quello uscito meglio, sicuramente il più vario e divertente. C'è tutto il suo universo lungo più di cinquant'anni di onorata presenza lungo l'autostrada della musica. Modellato su blues polverosi in pieno ZZ Top style (lo shuffle di 'Shuffle, Stop & Slide' è esplicito all'inverosimile), possenti rock ('My Lucky Card' e 'S-G-L-M-B-B-R'), tuffi nei sixties in salsa surfer ('West Coast Junkie') che farebbero innamorare Quentin Tarantino, dove auto lucidate a nuovo e donne da amare e conquistare (il rock stonesiano 'She' s On Fire', 'More More More' con il suo riff in piena regola industrial anni novanta) viaggiano spesso insieme come avviene nella zztopiana 'I Was The Highway' dove si consuma pure un delitto, mentre la lenta e riflessiva 'Vagabond Man' si carica sul portapacchi migliaia di chilometri on the road, consumati di città in città, di tour in tour.
L' immagine dei deserti è predominante come ama ripetere nelle interviste: il disco è stato registrato a Palm Springs e nel misterioso spoken 'Desert High' compaiono pure i fantasmi di Gram Parsons e Jim Morrison, due le cui impronte nella sabbia paiono ancora visibili. Mentre nella straniante e psichedelica 'Spanish Fly' è inevitabile volare sulle ali delle sostanze stupefacenti.
C'è la sua inconfondibile chitarra che sparge assoli, la voce roca e consumata, una band formata da Matt Sorum (batteria) e Austin Hanks (chitarre) ormai super oliata che partecipa attivamente alla stesura dei brani (a parte la cover della latineggiante 'Hey Baby, Que Paso') e le giovani amiche Larkin Poe che rendono più sbarazzino e leggero il tosto blues 'Stackin' Bones'.
Potrebbe già essere il disco dell'estate con qualche settimana in anticipo. La temperatura è sicuramente quella giusta.
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