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domenica 17 novembre 2019

RECENSIONE: MICHAEL KIWANUKA (Kiwanuka)

MICHAEL KIWANUKA  Kiwanuka (Polydor Records, 2019)




light
Non è certamente un disco immediato il terzo lavoro di Michael Kiwanuka. L'imperativo è non scoraggiarsi per essere ricompensati.
Se c'è una canzone da cui partire per affrontare l'ascolto però non la troverete qui ma all'inizio del precedente Love & Hate: questo terzo album sembra ripartire proprio dai dieci minuti di 'Cold Little Heart'. Ne ha fatta di strada da Home Again e tante cose sono successe dopo, il debutto uscito nel 2012, un disco che rappresentava la via di uscita di un giovane ragazzo di origini ugandesi cresciuto in un quartiere bianco di Muswell Hill a Londra (dove i genitori si trasferirono per sfuggire al violento e sanguinario regime imposto da Amin Dada), dipingeva ancora incertezza musicale legata al folk e al soul nonostante i riferimenti fossero ben forti e chiari ma soprattutto una debolezza caratteriale, una timidezza (ricordo bene il primo concerto ai Magazzini Generali di Milano) che per poco non lo indussero a mollare tutto prima del tempo, pressato dall'industria discografica che voleva persino cambiargli il nome. Dove vai con quel nome?
 "Non cambierò il mio nome, non importa come mi chiamano" canta ora con grande orgoglio. Sarebbe stato un delitto.
Kiwanuka tra il primo e il secondo album ha lavorato su se stesso, scavando nella propria indole e i risultati sono stati incredibili. L'incontro con Danger Mouse ha portato al clamoroso successo di Love & Hate ma soprattutto lo hanno portato ad imboccare le strade della personalità e presa di coscienza delle proprie capacità. In copertina si è fatto dipingere come un sovrano, metà africano metà inglese, e ha intitolato l'album semplicemente Kiwanuka. Un messaggio forte: questo sono io. Prendere o lasciare. Prendiamo. Grazie. E tra i testi compare sovente questa sua dichiarazione di indipendenza, orgoglio e identità. Certamente un consiglio da seguire. Lo fa nella maniera più sofisticata mischiando personale e politico, inserendo sampler di peso sociale e dove il vero "eroe" è Fred Hampton, attivista e rivoluzionario, ucciso a sangue freddo dalla polizia a Chicago (Kiwanuka si domanda: può essere un vero eroe?).
Un flusso musicale, certo ambizioso, diviso in tredici canzoni ma che deve essere preso in blocco dall'inizio alla fine. Una lunga suite, dove orchestrazioni d'archi, influssi jazzati, cori gospel e soul, funk, chitarre rock, impegno folk, psichedelia ballano insieme in un flusso di coscienza che cattura, ammalia e rapisce, scandito dalla voce vellutata, calda e avvolgente. È il passato della black music che amoreggia calorosamente con il presente.
 Ho tralasciato volutamente titoli e influenze (in rete troverete di tutto e di più) perché l'insieme sembra essere più importante delle singole tracce. Al primo ascolto è stata una smorfia dubbiosa poi è diventato droga vera. Da ripetere in loop. Dategli tempo.
 Appuntamento al Fabrique di Milano in Dicembre, consapevole che quella timidezza di inizio carriera ora si possa chiamare personalità.





RECENSIONE: MICHAEL KIWANUKA -Home Again (2012)
RECENSIONE/REPORT: MICHAEL KIWANUKA live@Magazzini Generali, Milano, 21 Aprile 2012
RECENSIONE: MICHAEL KIWANUKA-Love & Hate (2016)



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