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lunedì 7 novembre 2011

RECENSIONE: THE CYBORGS (The Cyborgs)

The CYBORGS The Cyborgs (INRI, 2011)

Immaginate Robert Johnson seduto su quella sedia di quel famoso Hotel a San Antonio. La chitarra appoggiata al muro, le gambe distese sotto una scrivania. Le sue dita non stanno ricamando nessun accordo ma sono appoggiate sulla tastiera di un pc di ultima generazione. La connesione internet a banda larga è velocissima e gli consente di comunicare con tutto il mondo. La sua faccia è illuminata dalla luce che proviene dallo schermo del pc. La home page (http://www.thecyborgs.it/), è
di un gruppo distante da lui circa 10.000 km con un oceano di mezzo e 75 anni di distanza proiettati nel futuro. Eresia? Fervida immaginazione? Sogno?
I tanti numeri sono l'unica certezza. Solo numeri. 0 e 1. Sì, solo numeri da codice binario, coperti da una maschera da saldatore per proteggersi da eventuali attacchi, sguardi, scorie radioattive, insulti e come dicono loro per non dare troppa importanza alla faccia e far cadere attenzione e concentrazione sulla musica, anche il contrario è vero e funziona bene, però.
Il blues non ha età, ma ha dato le date di nascita ai generi che sono venuti dopo di lui. I Cyborgs viaggiano in questo tunnel temporale come neutrini impazziti, avanti ed indietro lungo la banda larga. I loro numeri non hanno carta di identità: nessun volto, nessuna età anagrafica, nessuna città di provenienza, nessuno stato apparente. Tutto può apparire pretenzioso. Forse lo è, anche! Ma fa parte del gioco.
Aprire in concerto prima di Jeff Beck questa estate a Vigevano o prima di Eric Sardinas poche settimane fa, ha portato loro gran visibilità. Poco importa se i paragoni portano immediatamente a gruppi contemporanei come White Stripes e Black Keys, tutti e solo: chitarra e batteria. Il blues non ha età. E' vecchio già in partenza, segue la sua parabola del tempo. Guarda al suo passato e corre a ritroso. Parte dai campi di cotone arriva a quell'hotel e al mistero di Robert Johnson, passa attraverso Charley Patton, Elmore James, Howlin' Wolf, John Lee Hooker, Muddy Waters e Buddy Guy contamina l'Inghilterra negli anni sessanta e ogni tanto fa tappa in Italia per poi ripartire e tornare a quel hotel di San Antonio. Bisogna solo preservarlo. Fino ad adesso c'è stato chi ci ha pensato. Ora, ad espandere il verbo alle nuove generazioni italiane, ci sono anche loro, in compagnia di altre interessanti realtà come Bud Spencer Blues Explosion e Samuel Katarro.
Certo, la curiosità morbosa di strappare via le maschere c'è (nel loro futuro potrebbe anche esserci un Lick it up, senza maschera, come i Kiss), la curiosità è parte integrante del progetto ma la musica lo è ancor di più.
Il signor 0 alla chitarra e voce, il signor 1 alla batteria e visto che ha due mani come noi comuni mortali, ogni tanto una la usa per synth e tastiere. Tutto qui.
I Cyborgs giocano bene le loro carte (maschere e mistero) e portano il blues alle masse e ai giovani che di Johnson forse ne conoscono tanti ma nessuno di nome Robert.
3, 2, 1, 0...1, 0. Attacca Cyborg Boogie. E' un blues primordiale il loro. Pecussivo e senza troppi abbellimenti. Blues da strada. Polveroso come i bordi di una vecchia strada di Menphis o metropolitano, alienante e solitario come può essere la sporca periferia di una città.
Alieni sbarcati alla Chess Records, alla scoperta dei terrestri in Human Face e 2110 (il loro anno d'arrivo) e camaleontici, quando da sotto le loro maschere sembrano uscire lunghi e arruffati peli zz topiani, Highway Men. Il tacco dello stivaletto continua a tenere il tempo, il corpo si libera e parte Dancy, in puro stile Black Keys. Blues buono da ballare.

Abbandonate i vostri elettrodi da saldatore, suonate il campanello e salite al 20th Floor,un cyborg blues vi travolgerà appena aprirete la porta.
No!no!no! è pesante attacco al precario presente ed esortazione a salvarsi finchè si è in tempo mentre il rag time di Bag Time è puro esercizio pianistico che riporta agli anni trenta e smorza i toni.
Allontanatevi dagli incroci, ormai scomparsi delle grandi metropoli. Andate in campagna, cercate un crossroad disperso e solitario. Accampatevi lì come un hobo e aspettate. Prima o poi arriveranno The Cyborgs, direttamente dal 2110, vi rapiranno e vi riporteranno alle origini del blues, forse in quella stanza di hotel dove la chitarra non è più appoggiata al muro ed il pc è ora spento. Non c'è nessun bisogno di fare patti con il diavolo. Dovete farli con loro, ora.

INTERVISTA









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