WILCO The Whole Love (dBpm/ANTI, 2011)
Due estremi ben definiti a delimitare l'inizio e la fine di questo ottavo album dei Wilco. Art of almost apre nella maniera che non ti aspetti dopo due dischi come Sky blue Sky e Wilco(the album)-che non mi entusiasmarono moltissimo- e One Sunday morning con i suoi dodici minuti di durata chiude in modo pigro e sommesso.
I beat elettronici che introducono Art of almost ci fanno subito capire, ingannandoci, che The Whole Love abbandona in parte il rassicurante country rock di Sky blue sky e le derive pop del precedente omonimo per cercare strade artistiche che conducono lontano, meno estreme rispetto ai primi lavori ma comunque sperimentali. La mente di Jeff Tweedy rimane materia assai complicata e certi vecchi mostri continuano a nascondersi in modo rassicurante dentro alla sua mente , tanto da uscire in avanscoperta quando meno te lo aspetti. I sette minuti scorrono malati lungo infinite deviazioni fatte di synth, input elettronici, orchestrazioni e sciabolate di chitarra per concludersi con un lungo feedback di chitarre che dal vivo faranno furore. Il tutto in forma estremamente piacevole.
I dodici minuti di One Sunday morning(Song for Jane Smiley's boyfriend) che chiudono il disco sono una delicata ballad acustica con il piano in evidenza, ripetitiva e forse tirata un pò troppo per lunghe nel suo mantra, elegia per una persona passata a miglior vita e cronaca di una triste giornata, dove ci si aggrappa alla fede.
In mezzo cosa c'è? In mezzo c'è un disco che , nonostante i proclami di rivoluzione, viaggia su strade rassicuranti più di quanto l'inizio lasciasse prevedere. I might è il singolo che dietro al cinico testo(...Let it go/I don't know oh.../A cow's neck/Badshave/In the low blow slo-mo/It's alright/You won't set the kids on fire...) presenta un suono pop e sixty di sicuro effetto con una dichiarata citazione di TV Eye degli Stooges.
Whole Love è un delicato affresco lo-fi tra seduta psicoanalista e amore mentre Capitol City è uno spassoso viaggio nel tempo sospeso tra gli anni trenta e gli anni sessanta.
Sunloathe è battagliera negli intenti e psichedelica nella forma, il country/folk a bassa fedeltà di Black moon( con le lap steel ad aprire sconfinati spazi), nei tristi accordi di Rising Red Lung e dalla rassicurante e familiare andatura di Open Mind che ci riconsegnano un Jeff Tweedy che pare aver ritrovato una pace interiore e con il mondo esterno, pur non abbandonando la sua scrittura visionaria che anche l'artwork del disco e del libretto, contenente i quadri dell'artista Joanne Greenbaum, lasciano prevedere.
Sprazzi di rock'n'roll escono da Dawned on me, dalle chitarre dispersive di Nels Cline in Born alone e nella più scatenata Standing O.
Nella Limited Edition c'è ancora spazio per altre quattro canzoni: l'ironica e beatleasiana I love my Label(...guarda caso questo è il loro primo disco che esce per l'etichetta di loro proprietà), l'alt country Message from mid-bar , i sette minuti della strumentale e sperimentale Speak into the rose, quanto di più vicino all'iniziale e spiazzante Art of Almost. Infine, una versione alternativa di Black Moon.
Ritrovarsi ad ascoltare in continuazione questo disco, quasi in loop, come non era successo con nessun altro lavoro dei Wilco , prima. Qui c'è qualcosa di ipnotizzante. Uno dei miei dischi da vetrina dell'anno in corso, giunto quasi alla fine.
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