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venerdì 6 novembre 2020

RECENSIONE: AC/DC (Power Up)

AC/DC  Power Up (Columbia/Sony, 2020)


same old song and dance

Da un certo punto della loro carriera a oggi, io la partenza la fisserei da The Razor's Edge, dei nuovi album degli AC DC non amo tanto le canzoni in sé quanto il fatto che loro insieme a quel marchio stampato ci siano ancora e sempre. Nonostante tutto. Anche se una menzione particolare per Stiff Upper Lip (2000) la farei, tentativo di uscire fuori dagli schemi e buttarsi nelle acque più torbide del blues senza l'aggettivo hard prima. Loro oggi sono un po' come quella statuina che campeggiava in quella copertina, puoi metterli dove vuoi tanto ci stanno sempre bene. E allora anche questo Power Up diventa un altro manifesto di resistenza dopo la morte di un pilastro basilare come Malcolm Young, l'uomo che teneva tutto attaccato con chiodi, martello e chitarra ritmica. E a chi si aspettava un disco in studio con la voce di Axl Rose chiamato per completare il tour dell'ultimo album Rock Or Bust ( il ragazzo si comportò pure bene) rispondono con il ritorno a sorpresa di quella vociaccia da corvaccio di Brian Johnson, miracolosamente guarito dai suoi problemi uditivi, forse. Speriamo. 

"Non abbiamo mai pensato di fare un album con Axl. Lui fu molto gentile con noi e ci aiutò a superare quel difficile periodo" ribadisce chiaramente Angus Young

E la storia è tutta lì con il gruppo, inossidabile, che a sorpresa, dopo gli annunciati ritiri dello stesso Brian Johnson e Cliff Williams, i reiterati problemi con la legalità di Phil Rudd e la morte del povero Malcolm, fa impilare casse e amplificatori e riunisce tutti i tecnici, il produttore Brendan O'Brein negli studi Warehouse di Vancouver in Canada. Nessuno sa cosa sta per succedere. Angus Young si presenta con lo zainetto pieno di vecchi riff, periodo Black Ice, creati con il fratello e le canzoni nascono così con tutta la band nuovamente riunita: Phil Rudd ancora una volta dietro la batteria con la sua faccia da teppista mancato (mica tanto), Cliff Williams ci ripensa e impugna nuovamente il basso, il nipote di famiglia Stevie Young, figlio di Alex, il più vecchio dei fratelli Young, alla "pesante" chitarra ritmica ha l'occasione della vita a 63 anni compiuti, Brian Johnson al microfono con coppoletta in testa sembra guarito, Angus Young si veste nuovamente da scolaretto alla veneranda età di 65 anni e dirige a suo modo, lo stesso di sempre, poi c'è lo spirito di Malcolm Young che si aggira elettrico nell'aria."Questo disco è praticamente una dedica a Malcolm, mio ​​fratello. È un tributo per lui come Back in Black è stato un tributo a Bon Scott." dice Angus. 

Si inventano letteralmente le canzoni intorno ai riff di chitarra, come sempre, e poco importa se sanno tutte di già sentito. Il trade mark è loro. La storia glielo permette. 


'Shot In The Dark' viene scelta come singolo, e la scelta è quanto mai azzeccata, chorus da stadio come non si sentiva da tempo e una perdonabile vaga somiglianza con 'Rock'n'roll Train', tutto il resto sono mid tempo solidi, compatti, melodici con poche vere  accelerazioni (ecco l'arcigna 'Demon Fire' ad alzare un po' il ritmo). Peccato: ho sempre pensato che il rock'n'roll boogie alla Bon Scott fosse l'ingrediente necessario alla loro musica per uscire da certi schemi su cui si sono affossati nell'era Johnson. 

'Realize' apre senza sorprese, corale e magnetica il giusto ma non di più, 'Rejection' è più solida e Angus inizia a piazzare uno dei suoi brevi assoli, quelli che troveremo lungo tutto il disco, 'Through The Mists Of Time' è buon street che fa l'occhiolino alla melodia nonostante i mostri che sembrano popolare il sonno, 'Wild Reputation' un blues che riporta ai tempi Stiff Upper Lip e che nel testo sembra evidenziare quanto sia dura stare in piedi in una piccola città di provincia, 'No Man'Land' è cadenzata e arcigna, 'Systems Down' secca e pulita in grado di liberare nell'aria buone scosse elettriche e per un attimo il rosso della copertina sembra pure illuminarsi a intermittenza. 

Poi ad esempio c'è 'Kick You When You're Down' che trovo bella e ruffiana con un ripetuto riff da southern rock band, certamente la mia preferita. E se 'Code Red' dovesse essere l'ultima canzone del loro ultimo disco in carriera sembra pure trovarsi al posto giusto nel momento giusto. Si è sempre detto che i loro ultimi dischi fossero un buon pretesto per fare le valige e partire in tour. Forse questa volta non sarà proprio così. Prevedere concerti all'orizzonte è cosa da maghi. Allora… "Se riusciamo a far sorridere le persone, significa che abbiamo lavorato bene” ha recentemente dichiarato Cliff Williams. E sorridere in questo nefasto 2020 sarebbe già una grande vittoria.






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