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lunedì 15 aprile 2019

RECENSIONE: DON FELDER (American Rock'n' Roll)

DON FELDER  American Rock'N' Roll (BMG, 2019)




nemmeno i tanti ospiti salvano l'aquila

Il disco promette ciò che la copertina mette in bella mostra: America e chitarre. A guardarla bene sembra una di quelle raccolte di musica americana con almeno 4 cd di grandi successi buoni per tutte le stagioni, quelle che si possono portare via dall'autogrill con pochi euro insieme a una rustichella e a una bottiglia d’acqua frizzante cara come il petrolio. Invece è il nuovo album solista, il terzo, di Don Felder, uno che dentro a quella ipotetica raccolta di successi americani ci sta sempre e comunque con la sua ‘Hotel California’. Perciò tutto a posto e potremmo chiudere qui. Purtroppo anche leggendo i titoli delle canzoni sembra tutto prevedibile e telefonato: si capisce subito quali siano quelle tirate, rock ai confini dell’hard e quali le ballate lente acustiche e romantiche. Nessuna sorpresa: tante chitarre e produzione leccata e cromata come fossimo in pieni eighties. Anche se tamarre e prevedibili al punto giusto per spingerti giù dal letto, prendere le chiavi della macchina, scendere in garage e scorrazzare fuori in automobile, finestrino giù e voglia di cantare mentre si macinano chilometri senza troppe menate per la testa. A volte non è poi così male, invece di filosofeggiare sulla musica rock.
Per sapere i tanti ospiti presenti bisogna invece leggere tra le righe. “Volevo portare il maggior numero possibile di persone a condividere l'esperienza con me" dice lui. Direi che non ha badato a spese. Sul lato rock: Slash, Mick Fleetwood e Chad Smith (Red Hot Chili Peppers) nell'apertura ‘American Rock 'N' Roll’, inno al rock’n’roll tanto infarcito di luoghi comuni quanto di tante citazioni musicali, Alex Lifeson dei Rush in ‘Charmed’, la chitarra di Richie Sambora e la voce di Orianthi in ‘Lamelight’, un sempre in forma Sammy Hagar, i funambolismi chitarristici di Joe Satriani e i cori di Bob Weir nel truzzo hard rock ‘Rock You’. Poi una pletora di musicisti ad accompagnare: David Paich, Jim Keltner, Mike Finnigan, Danny Castro.
I vecchi Eagles sembrano riaffiorare quando la macchina si ferma per un picnic sul prato: nel country corale  di ‘Sun’ e nella pianistica 'The Way Things Have To Be' con  Peter Frampton ospite ai cori e alla chitarra con la sua Telecaster
Altre volte lo zucchero è da diabete alto, quello latino che cosparge  di flamenco ‘Little Latin Lover’ nel funk 'Hearts Of Fire' e nel finale pop 'You're My World'. Superato l'imbarazzo passano veloci senza lasciare troppe tracce da ricordare. Dopo sette anni di silenzio ci si aspettava un colpo da maestro che purtroppo non c'è mai.
In una recente intervista Don Felder dice di aver fatto pace con il passato (fu cacciato dagli Eagles nel 2001) rendendosi disponibile per un rientro con i vecchi amici rimasti. A questo punto la cosa farebbe bene a entrambe le parti.







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