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giovedì 17 gennaio 2019

RECENSIONE: STEVE GUNN (The Unseen In Between)

STEVE GUNN The Unseen In Between (Matador Records, 2019)






2019: sotto il segno di Gunn
Questo 2019 si apre decisamente sotto il segno di STEVE GUNN: il suo nuovo album THE UNSEEN IN BETWEEN si può già annoverare tra le uscite più interessanti e emotivamente coinvolgenti dell’anno in ambito folk rock, come se non bastasse il chitarrista songwriter della Pennsylvania, ex chitarra nella band di Kurt Vile e con tre dischi solisti all'attivo (possiamo dirlo: Gunn mette la freccia,... sorpassa e saluta l’amico Vile piantato), lascia nuovamente la sua firma nella produzione del nuovo album True North del settantasettenne Michael Chapman, album di imminente uscita che cercherà di bissare la buona riuscita del precedente 50.
The Unseen In Between sembra possedere tutte le carte in regola per farsi ricordare a lungo: Gunn cesella nove canzoni perfette, un miracoloso equilibrio dove la profondità di alcune liriche fortemente evocative (alcune scavano sulle perdite, anche di un amato animale come succede in ‘Luciano’) trova i suoi spazi tra la galleggiante e rassicurante psichedelia pop sixties di ‘New Moon’, il chitarrismo rock che circonda ‘Vagabond’, cantata in coppia con Meg Baird, e le aperture acustiche da grandi spazi di canzoni come ‘Morning Is Mended’ e la finale lisergica ‘Paranoid’. Colpisce ‘Sonehurst Cowboy’ una sentita dedica al padre, veterano del Vietnam, scomparso due anni fa.
“Mio padre, i suoi amici e fratelli non si sono mai veramente ripresi da quel momento. Alcuni sono andati meglio di altri. Con tutto ciò che è stato, mio ​​padre è stato una forza positiva ed esilarante tra la sua famiglia e gli amici per il resto della sua vita. Mi manca molto " lascia detto Gunn in un'intervista a GuitarWorld.
Si viaggia quasi sempre su tempi soffusi e lenti, preferendo la comodità alla immediatezza ma c’è sempre qualcosa di magico a catturare e spesso è la sua chitarra, suonata con rara maestria.
Lo aiutano il chitarrista e produttore James Elkington, il batterista di estrazione jazz T.J. Mainani e il bassista Tony Garnier, in licenza dalla band di Bob Dylan. Già Dylan, uno dei tanti fari musicali di Gunn, uno che ama cercare indietro i suoi punti di riferimento ma che sembra puntare molto avanti. In questo caso la copertina sembra rappresentare bene il personaggio: vintage sì ma sempre pronto a incamminarsi verso il futuro, viaggiare. Perché è da lì che nasce tutto:” assorbo costantemente i paesaggi e i personaggi intorno a me per scrivere…”. In ‘Lightning Field’ rende omaggio all'artista Walter De Maria che nel pieno deserto del New Mexico ha installato 400 pali di acciaio inossidabile, pronti ad attirare tuoni e fulmini. La gente sta lì, aspetta l'arrivo dei fulmini. Ma spesso non succede nulla… Un po’ come nella vita.
Da ascoltare.







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