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mercoledì 31 luglio 2013

RECENSIONE:QUEENS OF THE STONE AGE(...Like Clockwork)

QUEENS OF THE STONE AGE ...Like Clockwork (Matador Records, 2013)

Nati come costola imbizzarrita ed imprevedibile dei Kyuss, la chitarra di Josh Homme era riuscita a prolungare anche negli anni duemila lo spirito desertico che ha animato la breve stagione stoner della band madre. Arrivati però all'esplosione mondiale con le onde radio ancora ben elettriche che imperversavano su Songs For The Deaf (2002)  (imprescindibile per valutare il rock degli anni 2.0) a cui però ho sempre preferito i primi due dischi-soprattutto R (2000) che il sottoscritto ritiene il loro punto massimo in carriera-il gruppo, concrega sempre aperta ad interventi esterni di amici e conoscenti, una sorta di continuazione per le masse delle famigerate Desert Sessions, ha iniziato una preoccupante parabola discendente segnata da un netto calo d'ispirazione, continuazione infinita e ripetizione di una formula che da Lullabies To Paralyze (2005) fino all'altro ieri sembrava mostrare la corda, quasi gli effetti del peyote iniziassero a venire meno. Paradossalmente, i palazzetti hanno iniziato ad essere sold-out (sic, ed io che li vidi insieme ad un centinaio di persone nel non lontano 1998), mentre l'ispirazione musicale mostrava il suo knock-out. Quelle particelle nervose, libere di vagabondare dentro alla loro musica, che erano così imprevedibili sono diventate immaginabili, il loro fattore X era diventato stanca routine, i robotici riff di Homme mulinavano su se stessi con poca convinzione. Persi per strada quasi tutti i componenti originali, dal primissimo batterista Alfredo Hernandez, al compagno di merende allucinogene Nick Oliveri, ora riaccolto per un breve cameo vocale insieme a Mark Lanegan nella darkeggiante in odor di New Wave  If I Had A Tail -Oliveri fu personaggio basilare nel condurre il gruppo verso l'imprevedibilità musicale- fino all'ultimo batterista Joey Castillo presente su metà disco e poi cacciato per far nuovamente posto al "prezzemolino" Dave Grohl e a Jon Theodore che li seguirà in tour. I QOTSA ( Dean Fertita e Troy Van Leeuwen a chitarre e tastiere, Michael Shuman al basso) sono diventati, a tutti gli effetti, la creatura personale del rosso Josh Homme.
Ma ...Like Clockwork mostra un insperato segno di ripresa, battendo altre strade musicali-qui si ritorna almeno all'imprevedibilità, all'ispirazione-certamente più mature, melodiche, arrivando a completare la visione totalitaria sul pianeta musica, e fortemente influenzate, nelle liriche, dai problemi di depressione passati e superati del chitarrista: "se la vita non è altro che un sogno, allora svegliatemi" canta in Keep Your Eyes Peeled, sinistro brano blues che apre il disco con l'aiuto di Jake Shears (Scissor Sisters) alla voce.
Là dove una volta prevalevano l'urgenza e l'immediatezza ora c'è un certosino lavoro di costruzione, di dosaggio. Perché, accanto al trade mark di fabbrica ancora presente come dimostra il singolo "pagano" My God Is The Sun vi sono molteplici e vari episodi di campionario musicale: dalla melodia pop di I Sat By The Ocean, dove la chitarra rimane ancora riconoscibilissima seppur si svesta degli abiti sporchi e pesanti dello stoner per pochi, per indossare quelli più leggeri e candidi della festa per tanti invitati, alla finale ...Like Clockwork, ballata pianistica con aggiunta degli archi che pare un numero da cantautorato seventies westcostiano che fa il paio con The Vampyre Of Time And Memory, persa tra le malinconiche note di pianoforte e moog e la riuscitissima I Appear Missing , autobiografica e punto più alto dell'intero disco nella sua "beatlesianità", con quell'assolo quasi rubato al campionario di Tom Morello.
Kalopsia scritta da Alex Turner (Artic Monkeys) con la voce Trent Reznor (Nine Inch Nails) ondeggia tra soffice psichedelia, Ziggy Stardust sbarcato su Marte e violente esplosioni elettriche mentre Fairweather Friends vede l'ospite Elton John a piano e voce-in verità presenza superflua e poco incisiva (che peccato)- canzone che descrive bene la nuova versatilità della scrittura del "rosso", un calderone con dentro teatralità, epicità hard e pomposità glam '70, lo stesso eclettismo che ritroviamo nella bizzarra Smooth Sailing, sbilenco blues che strizza l'occhio al dance floor funkeggiante prima di infilarsi nel vortice cacofonico finale.
Diffidate da chi vi dice che è il miglior disco dei QOTSA, ma fatelo anche di chi vi racconta che Josh Homme è morto. No, ha semplicemente imboccato tante nuove, spiazzanti e impervie strade, in cerca di armonia e bilanciamento delle parti fino ad ora sconosciute ma che ...Like Clockwork sembra sublimare man mano che scorrono gli ascolti, conquistando quasi come ai vecchi tempi ma con tante esperienze di vita in più da considerare al momento del giudizio definitivo. Homme credo abbia voglia di mettere sul tavolo tutta la sua creatività e ispirazione, fino ad ora tenuta a freno da un marchio di fabbrica ormai consolidato ma diventato ingombrante. La strada imboccata dal precedente Era Vulgaris era buia e senza uscita: quasi morta.
Non ci speravo più...lasciate che l'orologio batta il suo tempo.




vedi anche RECENSIONE/REPORT live THE BLACK CROWES live @ Alcatraz, Milano, 3 Luglio 2013 




vedi anche RECENSIONE: THE WINERY DOGS-The Winery Dogs (2013)



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