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giovedì 7 marzo 2013
RECENSIONE:THE JEFF HEALEY BAND (House On fire: Demos & Rarities)
Gli archivi di Jeff Healey non saranno mai quelli di sua maestà Jimi Hendrix (imperdibile la freschissima uscita di inediti People, Hell & Angels), ma qualcuno in questi anni deve averlo pensato.
Anche se, pure Jeff Healey ha lasciato molto di sè dopo la prematura scomparsa avvenuta a soli 41 anni nel 2008, causata da un inguaribile cancro che lo ha divorato piano piano. Ci ha consegnato il tenero ricordo di un piccolo bambino adottato da una famiglia canadese, cresciuto nei sobborghi di Toronto, che a soli tre anni di età perse la vista- la retinoblastoma fu tra i primi effetti di una malattia che lo ha perseguitato per tutta la vita-ma guadagnò una chitarra in regalo con la quale riuscì a vedere presto il suo cammino futuro, raggiunto con caparbietà e tanto talento durante gli anni. Un esempio. Ha lasciato anche tanta musica ancora da scoprire, è vero, come si desume dai numerosi dischi postumi che stanno uscendo come barbara consuetudine esemplificativa di un mondo musicale senza più troppe regole-anche se in questo caso sembra ci sia dietro la famiglia, il che rincuora (ma non troppo): molti live, raccolte e ristampe, ora questo nuovo House On Fire, interessante e ricco di demos, inediti di studio, cover risalenti al periodo 1992-1995.
Lanciato dal film Road House (con il "buttafuori" del Double Deuce interpretato da Patrick Swayze) che lo vedeva impersonare se stesso insieme alla band-in quel momento ancora emeriti sconosciuti senza album alle spalle- e dallo strepitoso successo del primo ed inarrivabile disco che uscì poco dopo, quel See The Light (1989), concentrato di blues, hard rock e atmosfere rootsy che gli valse il titolo di nuovo guitar hero del blues. Difficile dimenticare la prima volta che vidi Jeff Healey, giovanissimo, biondo con il taglio di capelli mullet e i suoi due fidi musicisti posizionati dietro, la sua band: Joe Rockman al basso e Tom Stephen alla batteria. Un power trio come quelli di una volta. Era il video di See The Light, la title track del debutto. Difficile dimenticare la sua postura sul palco: seduto con la chitarra in grembo appoggiata orizzontalmente sulle gambe, quasi fosse una creatura da svezzare, accarezzare, coccolare e ogni tanto maltrattare, alzandosi in piedi per farne venir fuori sempre il meglio.
Un successo che tentò di bissare immediatamente con il successivo Hell To Pay (1990), dove però perse per strada l'appoggio dei puristi blues, allontanatisi di fronte ad un suono sempre più cromato e pesante che sposava più volentieri l'hard rock/heavy a scapito della tradizione. Ci guadagnò in blasone ospitando importanti ospiti come George Harrison, Jeff Lynne e Mark Knopfler. Con gli anni la sua attenzione si spostò anche verso l'altro grande amore musicale, il jazz e la tromba, mentre l'attenzione del grande pubblico, più in generale, iniziò a scemare piano piano. Il suo nome sembrava essere scomparso o meglio relegato negli angoli persi ma buoni, frequentati solamente dagli appasssionati più attenti e irriducibili. I tempi di quel video rivelatore che passava su MTV erano ormai un ricordo lontanissimo, anche se l'album che stava registrando prima di morire Mess Of Blues (2008),uscito postumo, era un gradito ritorno al blues dopo otto anni di lontananza. Stava tornando.
Interesse rinato a cinque anni dalla prematura scomparsa. Una prassi che non si smentisce. Questa raccolta di inediti ce lo mostra in uno dei momenti di maggiore forma, consapevolezza dei propri mezzi e fama. Gran parte delle nove tracce originali sono canzoni escluse dal terzo album Feel This del 1992, le restanti due sono cover rimaste fuori dall'album Cover To Cover uscito nel 1995, che metteva in fila tutti i suoi idoli e punti di riferimento musicali, dal blues di Jimi Hendrix al pop/rock dei Beatles, fino al country/rock dei CCWR.
Questa raccolta di inediti riesce a toccare tutto il mondo chitarristico di Healey, dandocene un ritratto veritiero quanto più vicino al personaggio: non manca la componente più viscerale e hard (House On Fire, All The Way, la "purpleiana" Daze Of The Night), quella blues (Who's Been Sleepin' In My Bed sostenuta dall'hammond, You Go Your Way,I'll Go Mine), la strumentale (la jazzata e swing Bish Bang Boof), l'intensa vocalità che esce dalle ballads Too Late Now e soprattutto We've Got Tonight di Bob Seger, perchè era anche un buon cantante, pur non raggiungendo il phatos dell'originale. Infine, il grande rispetto, da vero fan, verso i grandi del rock che questa volta si traduce nella cover di Adam Raised A Cain, uno dei pezzi più tirati, aspri e rock di Bruce Springsteen, vera manna per la sua chitarra incendiaria.
Sicuramente per completisti ma vista la buona eterogeneità delle composizioni potrebbe diventare un buon punto di partenza per chi non conoscesse ancora la sfortunata vita del talentuoso Healey.
vedi anche RECENSIONE: JOHNNY WINTER-Roots (2011)
vedi anche RECENSIONE: GEORGE THOROGOOD AND THE DESTROYERS-2120 South Michigan Avenue (2011)
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