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venerdì 22 marzo 2013
RECENSIONE:ELLIOTT MURPHY(It Takes A Worried Man)
Benvenuti in Murphyland.
Ci sono illustri americani che a Parigi hanno cercato nuova ispirazione poetica ma hanno trovato presto il riposo divino, fulmineamente barattato con l'ascensione verso la mitizzazione riservata alle rockstar eterne, ce ne sono altri che nella capitale francese non hanno trovato la gloria da consegnare ai posteri ma solo libertà, genuina ispirazione e buone motivazioni per continuare una carriera innalzata sull'onestà del lungo corso, costruita sulla strada, con il motto "del fare" in cima alla lista delle proprie priorità.
Elliott Murphy appartiene a questa seconda specie di emigranti, quelli che preferiscono ancora le strade contorte e collaterali del rock, una volta capito che la strada principale, chissà poi per quale oscuro motivo, è bloccata e non regala più del dovuto, affollata così com'è da continui ed ingombranti paragoni che lo perseguitano fin da inizio carriera e con le serrande del mercato discografico che si intravedono aldilà del marciapiede, sempre posizionate a metà altezza quando non chiuse del tutto. Per chi lo segue fin dai suoi imperdibili dischi degli anni '70 (Aquashow-1973, Night Lights-1976, Just A Story From America-1977), lui è già un mito e ciò basta. Da angelo biondo e ribelle di Long Island ad antico troubadour dei tempi moderni. Partito dalla New York glam degli anni '70 e arrivato in Europa nel 1989, non se n'è più andato, conquistato da quella che considera una delle capitali culturali del mondo (volete dargli torto?) costruendosi un seguito di fan affezionati e devoti. Amore recentemente contraccambiato con l'assegnazione a Murphy della prestigiosa Medaille de Vermeil de la Ville de Paris da parte del primo cittadino parigino. Anche l'Italia è una sua roccaforte e i piccoli locali sono i suoi caldi rifugi , a volte pure i grandi stadi lo accolgono, ma solo quando l'invito è spedito dall'amico Springsteen.
Carriera di un onesto poeta della musica, artigiano con tutte le potenzialità per essere un grande numero uno. Ogni tanto ce lo ricorda con qualche bella zampata, certamente non epocale, come questo nuovo disco che esce a di distanza di tre anni dal precedente. Il mondo di Murphy, come racconta nella ironica Murphyland, sta tutto qua, in questi 40 minuti di musica. Murphy ritrova un po'della sua America, la stessa che chiudeva il precedente album con Train Kept A Rolling.
Il Newyorchese è ancora una delle migliori penne del rock'n'roll, e non solo perchè divide la sua attività musicale con quella di scrittore e romanziere, ma perchè in It Takes A Worried Man riesce a mettere in piedi un concept accattivante tra realtà e fantasia, pieno di speranza, con stile e classe invidiabile, musicalmente vario che partendo da molto lontano, ripescando il traditional folk della iniziale Worried Man Blues, mette in fila i temi cardine di tutta una carriera: l'amore, il dolore, la speranza, il sogno, le illusioni, le amarezze, il viaggio e l'ottimismo, e li convoglia nella storia di un ipotetico viaggiatore alla ricerca della Murphyland perduta," il posto dove tutti vorremmo stare" e dove "Louis Armstrong canta Hello Dolly", il luogo dove poter realizzare i propri sogni, il posto da perseguire fin dalla giovane età, superando gli ostacoli e gli incontri "sbagliati" o salvifici della vita, che siano la malvagia Angeline, Mister Jackson, Fanny Gonzales o l'ultimo dei Ramone come canta in Little Big Man.
"La vita è meravigliosa, ma il mondo può essere un inferno" confessa nella dylaniana Then You Start Crying. Puoi essere circondato da tante cose materiali e persone ma il vuoto e la solitudine possono averla sempre vinta declama nella epica e riuscitissima tensione musicale creata da I Am Empty, una delle migliori canzoni del disco, con la signora Springsteen, Patti Scialfa, a raddoppiare la voce e Olivier Durand ad incorniciare il tutto con l'assolo finale.
"Oh e le cattive notizie arrivano senza sosta, siamo anime oscillanti come un acrobata, cenere alla cenere e polvere alla polvere, Hallelujah".
Istantanee di una esistenza vissuta ai limiti con la chimera dell'immortalità dettata dalla gioventù nella colata di parole del tagliente rock Day For Night, perdite che incidono come lame nella teatralità di He's Gone, autostrade come metafore di vita nel country placido di Eternal Highway, trombe che sbuffano e reclamano qualcosa in più dalla vita (Little Bit More), un pianoforte solitario e malinconico ad accomiatare tutte le sofferenze in Even Steven.
Il figlio ventitreenne Gaspard nuovamente a produrre, suonare e fare da regia ad un disco registrato in giro per il mondo (Parigi, Bruxeles, New York), e suonato ancora insieme ai fidati The Normandy All Stars ( Olibvier Durand alle chitarre, Laurent Pardo al basso, Alan Fatras alla batteria).
Questa è un po' la sua autobiografia. Un uomo (preoccupato) che ha scelto di vivere nella sua Murphyland, compiere le sue scelte in totale libertà, pagandone forse in termini di successo ma guadagnandone in coerenza e meritato rispetto.
vedi anche RECENSIONE: ELLIOTT MURPHY-Elliott Murphy (2010)
vedi anche RECENSIONE: BOB DYLAN-Tempest (2012)
vedi anche RECENSIONE: BILLY BRAGG- Tooth & Nail (2013)
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