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mercoledì 3 ottobre 2012

RECENSIONE: ROBERT FRANCIS (Strangers In The First Place)

ROBERT FRANCIS   Strangers in the First Place (Vanguard Records , 2012)

Che fosse un predestinato della musica, lo si poteva capire leggendo la sua breve ma pesante biografia. Cosa fareste se un certo Ry Cooder vi regalasse un chitarra quando il vostro maggiore pensiero nella vita è terminare le scuole elementari? Al piccolo Robert Francis capitò veramente, anche se da una posizione privilegiata: il papà musicista, pianista classico e produttore, una mamma di origini messicane ed uno stuolo di sorelle già canterine che all'età di sette anni lo coinvolsero a cantare delle ranchera songs. Il giovane Robert ebbe anche il privilegio di essere l'unico studente di chitarra nella personale scuola di John Frusciante e di frequentare concerti, backstages ed artisti di livello in tenerissima età. Tutto fa brodo, quando arriva il momento di decidere cosa vuoi fare da grande, e Robert Francis, di dubbi non ne ha mai avuti.
Il risultato minimo fu il suo debutto discografico One by One (2007) avvenuto a soli diciannove anni, permettendosi di apparire in copertina  rivisitando graficamente, a suo modo, la cover di The Time They Are A-Changin' di Bob Dylan, cercando di ripeterne anche la formula sonora ridotta ad un minimale folk acustico.
Oggi, Francis, di anni ne ha venticinque, è un polistrumentista a tutto tondo, e dopo il debutto ha inciso un secondo disco Before Nightfall (2009), più ricco musicalmente e che conteneva il successo Junebug, ma è questo nuovo Strangers In The First Place a disegnarne l'avvenuta maturità e (forse) cifra stilistica, pur lasciando, per il futuro, ancora tante porte da aprire. Canzoni nate in solitaria tra il buen retiro di Malibu e viaggi nelle west highways in compagnia delle quattro ruote di un van e del suo inseparabile cane-quello ritratto in copertina. Essenziali canzoni d'amore, ordinate ed eleganti nella loro formula che spesso sconfinano nel pop/rock (Perfectly Yours, Eighteen, il singolo dalle alte potenzialità Heroin Lovers) senza perdere l'estrema profondità delle sue liriche intimamente segnate dalle sofferenze d'amore e messe su foglio come piccole poesie, e potendo contare sull'aiuto, in studio, di personaggi di prim'ordine, dallo stesso Ry Cooder (presente anche nel precedente disco), a Joachim  figlio dello stesso Cooder, Jim Keltner, Blake Mills a Mike Capbell, fino alle sue adorate sorelle ai cori.
Da una Alibi, che segue la profondità solcata da Leonard Cohen, arrivando quasi a plagiarne il capolavoro Suzanne, ad episodi più rootsy-pochi in verità se confrontati con il passato- come la dylaniana The Closet ExitStar Crossed Memories che sovrappone spazi mentali e paesaggi naturali tra banjo, armonica e fini arrangiamenti, a ballate beatlesiane battente bandiera MacCartney come I Sail Ship.
Una vocalità calda, chiara e rassicurante che emerge negli episodi più ricercati con ricchi ma mai invadenti arrangiamenti orchestrali come in Some things never Change e l'iniziale Tunnels.
Pur alzando poco la voce e pagando dazio ad una omogeneità e rilassatezza a volte eccessiva lungo tutto il disco, Robert Francis riesce a mettere a fuoco la sua grande facilità di scrittura, fluida ed eterea, fini arrangiamenti ed un potenziale altissimo ma ancora tutto da scoprire in futuro.







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