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sabato 3 settembre 2011

RECENSIONE: RED HOT CHILI PEPPERS (I'm With You)

RED HOT CHILI PEPPERS I'm With You ( Warner Bros Records, 2011)

"...Il rito finale prima di salire sul palco è il cerchio delle anime. E' divertente il modo in cui si è evoluto negli anni. Quando eravamo una band di spavalde teste di cavolo di Hollywood, ci mettevamo in cerchio e ci davamo delle sberle in faccia proprio prima di salire sul palco. Di sicuro questo faceva sgorgare energia. Ora formiamo un cerchio, ci teniamo le mani, facciamo qualche meditazione insieme..." dal libro "Scar Tissue" autobiografia di Anthony Kiedis

Suggerire di continuare/ritornare a prendersi a sberle è cattiveria, assodare che sono passati gli anni, è la verità. Difficile fare i Red Hot Chili Peppers nel 2011, così come da più di dieci anni, dall'uscita di "Californication"(1999) in avanti. By the way(2002) e Stadium Arcadium(2006) hanno mostrato la corda, adagiandosi sulla formula di Californication, vero punto di incontro tra la loro idea di funk/rock e la melodia pop. La perfezione in grado di accontentare gli orfani del loro capolavoro indiscusso della maturità rock "Blood Sugar Sex Magik"(1991) e chi aveva storto il naso dopo l'uscita di "One Hot Minute", un disco che con gli anni ha acquistato molti punti.
Questo I'm with you, nasce sotto gli stessi astri di quel One Hot Minute, tanto da farmi pensare che le ripetute uscite di Frusciante dal gruppo siano calcolate per dare nuovi stimoli alla band. Nel 1995 c'era da replicare un disco che con il tempo si è guadagnato un posticino tra i capolavori rock, nel 2011 c'è da replicare il successo commerciale del doppio Stadium Arcadium (4 Grammy Awards su 6), tanto lungo quanto povero di belle idee.
Ma se il disco composto con Dave Navarro, chitarra dei Jane's Addiction cercò nuove strade, qui siamo di fronte ad una ripetizione di formule già sentite negli ultimi dieci anni, con poche uscite da fuoriclasse ed un divertimento che sembra quasi forzato.
Avete presente la differenza che passa tra quelle belle serate divertenti con gli amici che nascono dal nulla senza aspettative, pretesto e programmi e le serate programmate nei minimi dettagli per divertirsi che alla fine ti lasciano l'insoddisfazione e l'amaro in bocca? I RHCP del 2011, dall'alto della quasi mezza età raggiunta hanno ancora voglia di divertirsi ma purtroppo sembra tutto troppo programmato.
Monarchy Roses che ha il compito di aprire il disco è un divertente disco-funk che però lascia pochino dietro di sè, stessa cosa per Factory of Faith, guidate dal basso di Flea, con quella ricerca spasmodica del chorus melodico, croce e delizia degli ultimi dischi. Brendan's Death's Song, ballata nobile nell'intento di ricordare lo scomparso Brendan Mullen, amico promoter scomparso poco prima dell'inizio delle registrazioni, ma che guarda dal basso in alto del ponte la sorella Under the Bridge che toccava le stesse corde emotive con ben altro pathos e coinvolgimento. Annie wants a baby, Ethiopia scivolano via che nemmeno te ne accorgi, Kiedis ha guadagnato bravura nel modo di cantare ma ha perso quell'elemento di imprevedibilità in grado di portare a casa le canzoni (ascoltate il ritorno al rap/funk di Look Around per capire). Se ci mettete un Rick Rubin che fa di tutto per appiattire le canzoni, il gioco è fatto, ma ne sono sicuro, dal vivo suoneranno certamente meglio e riacquisteranno vigore, grazie all'improvvisazione che manca nei dischi.

Allora tutto va meglio nella seconda parte del disco, quando il nuovo chitarrista Josh Klinghoffer (predestinato, da anni intorno al satellite RHCP) ha più voce in capitolo e i RHCP si avventurano veramente in qualcosa di diverso. Il nuovo chitarrista, quasi ventanni in meno dei compagni, svolge degnamente il suo compito: con la chitarra che ricorda vaganente My Sweet Lord di George Harrison in The Adventures of Rain Dance Maggie o le atmosfere quasi etniche di Did I let You Know con l'incursione di una tromba o l'unica prova di forza del disco, Goodbye Hooray , un hard funk dove anche Chad Smith si mette in mostra senza dover per forza aspettare di sfogare i suoi battiti rock fuori dal gruppo(Glenn Hughes e il super gruppo Chickenfoot, fra poco in uscita il loro"III")
Così come mi piacciono le divertenti ed originali per il gruppo, Happiness Loves Company e Even you, Brutus, quasi due Rag time con Flea al piano e i Beatles come ispirazione.
Di sangue, sesso, magia e zucchero, sembra rimasto solo quest'ultimo ingrediente e adesso che anche la California sembra più lontana, si sa, una dieta a base di soli zuccheri alla lunga è nociva e i nostri da qualche anno la seguono incuranti degli effetti.

1 commento:

  1. eh si ti do pienamnete ragione..un buon disco ma gli manca la verve che ha sempre contraddistinto i Chilis..le poche idee buone le sfoggia linghoffer, per il resto il disco venderà,sarà sotto le luci della ribalta...ma c'è di meglio in gieo...molto meglio

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