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domenica 11 settembre 2022

RECENSIONE: OZZY OSBOURNE (Patient Number 9)

 

OZZY OSBOURNE   Patient Number 9(Epic/Sony Music, 2022)



sette vite più una

Ricordo bene quel "No More Tour" del 1991, Ozzy aveva quarantre anni e l'annuncio dell'ultimo tour sembrava uno scherzo. Lo era in effetti: una diagnosi sbagliata lo aveva messo in allarme per nulla. E noi dietro. Fu il primo degli infiniti "ultimi tour" che seguiranno per malanni molto più seri. Ora lo vedo mentre si è  esibito nell'intervallo della prima partita della stagione di NFL al SoFi Stadium di Inglewood in California: canta Patient Number 9, canzone che apre e da il titolo a questo disco e Crazy Train insieme a Zakk Wylde.

È successo solo due giorni fa. È immobile con le mani fisse al microfono, le alza ogni tanto cercando gli applausi ma non credo possa sostenere concerti interi o tour in quelle condizioni. Se Sharon glielo permettesse sarebbe veramente crudele. L'avrà pure salvato decine di volte ma a volte lo è stata. Crudele. Se vuole veramente bene a Ozzy non glielo permetterà. Vogliamo ricordarlo mentre con le mani ci tirava secchiate d'acqua fredda.

Insomma Ozzy ci canta e ci annuncia la sua fine da almeno trent'anni salvo poi dirci che è "immortale" come canta in  in questo ultimo disco, uscito a due anni di distanza da Ordinary Man, che  già era  stato annunciato come ultimo disco. Quindi, regola numero uno: Ozzy, fottiti, io non ti credo più. Regola numero due: in qualunque condizioni abbia registrato queste ultime canzoni (tanti aiuti alla voce presumo) godetevele. Più heavy,  moderno e compatto del precedente Ordinary Man, che giocava con il pop. In produzione (ma anche musicista presentissimo) sempre Andrew Watt che secondo me si diverte un mondo. Comunque ci si diverte tutti. 

I motivi? Sono tanti. 

Perché i testi giocano in continuazione con la morte, la invocano, la perculano, la allontanano. Tanto prima o poi arriverà per tutti. Guardate la regina.

Perché fa suonare Eric Clapton come fosse ancora nei Cream in One Of These Days. Perché ospita per la prima volta Tony Iommi in un suo disco solista e si ricrea la magia dei Sabbath (No Escape From Now), pure quelli più vecchi e blues in Degradation Blues con quell'armonica che porta direttamente a The Wizard.

Perché Zakk Wylde ritorna a casa e impazza in più di metà disco. Perché Jeff Beck impreziosisce A Thousand Shades e Mike McCready Immortal. Perché troviamo ancora una volta Taylor Hawkins alla batteria in un paio di pezzi. A lui è dedicato il disco. Perché ci sono infiniti rimandi al passato, a Ozzmosis (Nothing Feels Right), addirittura agli anni ottanta di The Ultimate Sin in Dead And Gone.

Perché God Only Knows ruba il titolo ai Beach Boys ma suona come The Beatles meets Black Sabbath.

Perché ci suonano Chad Smith, Duff McKagan e Robert Trujllo

Perché se fosse veramente l'ultimo disco di Ozzy si conclude con un blues antico da palude, slide, armonica e risata finale (Darkside Blues) proprio come forse tutto iniziò tanti anni fa in quel di Birmingham.





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