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venerdì 15 maggio 2020

RECENSIONE: WILLIE NILE (New York At Night)


WILLIE NILE   New York At Night (River House Records, 2020)




New York  State Of Mind

Mi suona il cellulare, parte 'Old Men Sleeping On The Bowery' di Willie Nile. Prima che cambiassi suoneria, Willie Nile era il mio personale squillo di tromba sul mondo: belle e cattive notizie, amori e lavoro erano anticipati da quell'inconfondibile suono di chitarra. 
Quella canzone era contenuta nel suo debutto uscito nel 1980, un disco di canzoni straordinarie, perfettamente in bilico tra il vecchio folk, sporco di polvere preziosa, tramandato dal Greenwich Village, i sixties marchiati da una Rickenbacker dei Byrds e l'assalto urbano del punk rock che visse sulla propria pelle in anni irripetibili che oggi sembrano veramente preistoria del rock. Quella da studiare a scuola.
Sono passati quarant'anni esatti, nel mezzo Nile, dopo anni di esilio forzato dalla musica, è tornato prepotentemente ad agitare le mille chitarre, scrivere canzoni, incidere dischi, girare il mondo, e camminare per le vie della sua amata  New York con lo stesso impeto e lo sguardo sempre curioso di allora, occhi penetranti che si posano su loser e marciapiedi poco frequentati. Forse non è più disincantato come allora, c'è più consapevolezza, ma la sincerità è sempre la stessa. Come l'attitudine da rocker, ribelle e romantico insieme. Di quelli che non si trovano più con tanta facilità. 
"Ho ancora molto da imparare, ma ho acquisito molte conoscenze di strada. È l'università della strada. C'è tutto lì: il ricco, il povero, e tutto quello che ci sta nel mezzo" ha raccontato in una recente intervista a Popmatters.
E proprio la città di adozione è nuovamente al centro dei suoi sguardi: lui ci arrivò da Buffalo nel 1972, 600 km percorsi in orario per vedere la fiorente scena musicale dei tempi cresciuta tra il CBGB e il Max's Kansas City, stringere amicizie, rubare consigli a Patti Smith, Ramones e Television. E con un radio sempre sintonizzata dall'altra parte dell'oceano, in UK.
E mai come oggi, la grande mela ha bisogno di nuovi inni per rialzarsi dal lockdown imposto da questa pandemia. Inutile fare l'elenco dei grandi musicisti che hanno cantato New York, Nile ci entra dentro di diritto. 
Ecco così che l'iniziale rock'n'roll di 'New York Is Rockin' fa da apripista catapultandoci  tra palazzi, strade, metropolitane e monumenti. Una corsa scandita da un pianoforte, caotica, veloce come solo quella città sa esserlo. 
Le canzoni sono state scritte prima di tutto ciò che è successo, naturalmente, ma sembrano incastrarsi perfettamente in questi due mesi e la ballata acustica 'Under The Roof' è un'ode alla famiglia, rifugio e abbraccio sempre sicuro nei momenti più disperati. 
" New York mi ha sempre ispirato. Vivo nel Greenwich Village da molti anni, e amo ancora stare lì. L'energia, la grinta e il mistero di tutto ciò riempie il mio cuore di meraviglia. La maggior parte di queste canzoni sono state scritte a New York o ne sono state ispirate in un modo o nell'altro" ha raccontato recentemente. 
Un disco costruito all'antica insieme al produttore Stewart Lerman agli Hobo Sounds di Weehawken nel New Jersey, costruito intorno a tosto rock'n'roll e ispirate ballate. 
Da una parte le chitarre infuocate del rock blues carico di speranza  'The Backstreet Slide' ("facciamo del nostro meglio per trovare la nostra strada, in tutto il mondo, ci sono canzoni da cantare"), quelle alla Rolling Stones di 'The Fool Who Drank The Ocean', scritta con l'amico Frank Lee che sanno  disegnare immagini poetiche di vita vissuta ("ho perso mille cose solo per fare un centesimo, sono il pazzo che ha bevuto l'oceano, pensando che fosse vino"). 
Se si lanciano gli occhi verso il cielo però, c'è  la stessa luna vagabonda di sempre ('Surrender The Moon'), le atmosfere tardo 50 di una 'New York At Night' che chiama per essere vissuta e spremuta fino al primo minuto del mattno ("c'è una festa in corso, puoi sentire il battito del cuore") e una 'Downtown Girl' che sarebbe piaciuta tanto ai suoi amici Ramones: tutte mantengono intatta la linea sul marciapiede su cui Nile ha camminato in questi anni. 
Willie Nile ha iniziato a suonare il pianoforte in giovanissima età e a casa di suo padre, un uomo di 103 anni che vive ancora a Buffalo, c'è il vecchio Steinway su cui imparò le prime nozioni musicali. Proprio seduto davanti a quei tasti è nato il crescendo dell'accorata 'Little Bit Of Love' e l'ispirazione per la ballata al pianoforte 'The Last Time We Made Love' che richiama il suo album uscito qualche anno fa If I Was A River, che fu pure un piccolo sogno inseguito e realizzato. Pure bello e dimenticato con troppa fretta.
C'è il battito pop e metropolitano di 'Doors Of Paradise', non così diversa dalla 'Streets Of Philadelphia' dell'amico Bruce Springsteen, c'è la coralità meticcia di 'Lost And Lonely World', c'è l'epicità con il crescendo soul della finale 'Run Free', simbolo della sua indipendenza artistica.
C'è Willie Nile fermo alla stazione metropolitana West Fourth Street a Washington Square, ha con sé la custodia della inseparabile chitarra, sta cercando la  prossima fermata: c'è ancora tanta musica da suonare in giro. 








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