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martedì 24 settembre 2019

DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 77 : BOB DYLAN (Oh Mercy)

BOB DYLAN  Oh Mercy (Columbia, 1989)


 E all’improvviso il capolavoro. Arriva dopo un disco mediocre e costruito a tavolino con scarti di magazzino come Down In The Groove, buon pretesto per chiudersi sopra a un palco, far partire il Never Ending Tour, e non scenderci più . Un contributo fondamentale arriva dal produttore Daniel Lanois, consigliato da Bono degli U2. Nel frattempo Dylan e gli U2 trovarono il tempo di collaborare tra loro su Rattle And Hum. C’era poco da annusarsi tra Dylan e Lanois : la persona giusta al momento giusto. “Nel giro di un’ora avevo già capito di poter lavorare con lui. Ne ero convinto” scriverà Dylan nell’autobiografia Chronicles che ha tante pagine fitte di aneddoti dedicati all’album . “Rimasi seduto al suo fianco per due mesi mentre scriveva i brani per l’album e fu straordinario. Continuava a intagliare i suoi versi”, replicherà Lanois.
Registrato a New Orleans, a Sonia Street con alcuni musicisti del posto scelti dal produttore, città da cui prenderà alcuni caratteri salienti, uno di questi la spettralità che avvolge alcune canzoni come la crepuscolare ‘Man in The Long Black Coat’, con i suoi grilli da notte fonda a fare da sipario, che Dylan paragonerà a ‘Walk The Line’ di Johnny Cash.

OH MERCY è un disco magniloquente, misterioso, senza tempo, che cattura lentamente su cui Dylan lavora bene di voce mentre Lanois cesella gli strumenti a dovere e con parsimonia. Dylan durante le registrazioni carbura lentamente ma una volta entrato nel metodo lavorativo di Lanois, non c'è ne sarà per nessuno. “Non sapevo che tipo di disco avevo in mente, non sapevo nemmeno se le canzoni fossero buone". Intanto la leggenda racconta di un Lanois incazzato intento a distruggere una chitarra dobro sul pavimento dello studio.
Non si butta via nulla, anche se a prodotto finito Dylan dirà “non saprei dire se questo è il disco che ciascuno di noi voleva”: dall’apertura tambureggiante di ‘Political World’, un carico di visioni apocalittiche che fa il paio con il lungo elenco di ‘Everything Is Broken’ alla ballata ‘Where Teardrop Falls’, i legami sentimentali toccati in ‘Most Of The Time’, la caritatevole ‘Ring Them Bells’, il male della presunzione di ‘Disease Of Conceit’, alle domande poste nei titoli di due canzoni (‘What Good Am I? ‘e ‘What Was If You Wanted? ‘), i dubbi che vengono a galla nella quiete finale di ‘Shooting Star’, dall’album finito resteranno fuori pure canzoni magnifiche come ‘Dignty’ e ’Series Of Dreams’ che fanno da ulteriore termometro all’ispirazione tarata al massimo di Dylan a quei tempi.
Qualcuno (Clinton Heylin) disse che fu il meno dylaniano dei dischi di Dylan (riferendosi alla modernità di registrazione) e francamente la prima cosa che viene da chiedersi è: perché qual’è il vero Dylan? Non era che: ognuno ha il suo? Questo è uno dei (tanti) miei. Buoni 30!




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