CHET O'KEEFE Because Of You (Rootsy.Nu/IRD, 2013)
Ombre e luci giocano una partita importante dentro alle liriche del quarantasettenne Chet O'Keefe, cantastorie del Massachusetts giunto al terzo disco. Serpeggia in continuazione un'aura di bieca, grigia e desolata solitudine accompagnata immediatamente da rari sprazzi di sincera vitalità aggregativa e umoristica. Figlio naturale di un padre jazzista, ma in tutto e per tutto della sua vera madre: "la grande e desolata America". Quanto nipote musicale di veri "outlaws" come Guy Clark, John Prine e Town Van Zandt nel suo modo di esporre le emozioni, le storie e la vita in musica; nonostante nasca con la chitarra elettrica in mano, l'incontro con la musica di questi eroi americani così underground quanto importanti fu determinante per imboccare la giusta strada in carriera. Una via di delicati, intimi, quanto aspri e cupi affreschi acustici a partire dalla bellezza dopo il baratro alcolico sfiorato nell'apertura Not Drunk Yet-l'alcol è spesso presente (Drinkin' Day)- che mostrano una mano, nonostante tutto, personale ed originale, quasi da vecchio veterano-il nuovo look con lunga barba ascetica potrebbe ingannare veramente-, affinata ulteriormente grazie alla possibilità avuta, nel tempo, di confrontarsi con i grandi, suonando nella band di Bo Diddley e scrivendo per altri numerosi artisti. Al resto ci ha pensato una vita "vagabonda" che lo ha portato a spostarsi in lungo e in largo: dall'infanzia nel New England, passando per il New Ampshire, a Nashville dove ha scritto i due precedenti dischi e quella Ring The Bell che lo ha sdoganato ai più, tanto che nel 2010 fu nominata canzone dell'anno dall'Intl Bluegrass Music Association-presente nel precedente disco Game Bird (2010) che vedeva la prestigiosa partecipazione di Nanci Griffith-poi ancora buone esperienze di passaggio nel nord Europa, fino ad arrivare a Washington dove conduce una vita da eremita senza troppi agi, e dove ha preso forma questo Because Of You.
Esperienze di vita che scavano nella quotidianità delle strade, dei vizi, delle emozioni, del duro "tirare avanti" giornaliero, cercando i protagonisti (oltre a se stesso) tra le vie più nascoste e poco lucenti: pigro girovagare tra i marciapiedi e i locali di Nashville nella folkie Down At The Star Cafe e incursioni tra la dura vita di una giovane madre di tre figli alla ricerca illusoria(?) del vero amore che possa diventare salvifico, protettivo e far svoltare la vita a lento passo di valzer in True Love. Esercizi di buona scrittura (Blue Martin), dove colpisce la fredda e dimessa introspezione della più che buona title track che pare uscire direttamente da The Ghost Of Tom Joad di springsteeniana memoria, e incontenibili fiumi di parole in stile dylaniano che scorrono senza freno in Hick Tech(Nology) e Talkin Kerrville Blues, aiutato dall'essenzialità di una band ridotta all'osso, composta da Lynn Williams (batteria), Mark Fain (basso) e Thomm Jutz (anche produttore) alle chitarre, che confermano l'autenticità di un cantastorie minimalista che dalla scarna intimità riesce a tirare fuori il meglio, spogliandosi di tutto il superfluo.
vedi anche RECENSIONE: JASON ISBELL-Southeastern (2013)
vedi anche RECENSIONE: GUY CLARK-My favorite Picture Of You (2013)
vedi anche RECENSIONE: ANDERS OSBORNE-Peace (2013)
vedi anche RECENSIONE: JOE GRUSHECKY- Somewhere east Of Eden (2013)
vedi anche RECENSIONE: GREG TROOPER-Incident On Willow Street (2013)
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