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giovedì 6 dicembre 2012

RECENSIONE: BAD BRAINS (Into The Future)

BAD BRAINS  Into The Future ( Megaforce Records, 2012)

Nel futuro, i Bad Brains ci navigavano già nel lontano 1980, quando il loro primo 7" Pay To Cum iniziò a circolare per le vie di Washington D.C.
Tanto per la musica-non si era mai sentito nulla di così veloce prima- quanto per il messaggio sociale che quattro musicisti di colore potevano trasmettere ad una scena, quella punk-hardcore, fino ad allora monocromatica nella colorazione della pelle.
"Eravamo ragazzotti neri che annusavano il rock e viceversa. Adesso è solo questione di musica, e dovrebbe essere sempre così, una questione di apertura mentale. Allora però c'era parecchio separatismo". Dice Darryl Jenifer. Da American Punk Hardcore di Steven Blush.

La storia insegnerà poi, che i Bad Brains nei libri di scuola del rock ci intreranno di prepotenza anche per meriti acquisiti sul campo, grazie a dischi quali Bad Brains (1982), il seminale Rock For Light(1983), I Against I(1986), veri e propri antesignani di quella scena crossover che popolerà la seconda metà degli anni ottanta e gran parte dei '90 e meritevoli, a tutti gli effetti, di entrare nella storia del (punk) rock tra i dischi fondamentali e da avere assolutamente. La loro fredda, cinica e selvaggia attitudine legata all'hardcore, mischiata ai caldi, lenti inserti reggae/dub, figli della loro fede rastafariana (che procurò anche parecchi problemi scaturiti dalle accuse di omofobia, smentite a fatica con il passare degli anni)  hanno generato una miscela esplosiva, soprattutto live, che farà proseliti.
Tra i primi  sinceri ammiratori ci furono i Beastie Boys di New York che nelle persone, allora ancora adolescenti, di AdamYauch e Michael Diamond proprio ad un concerto dei quattro rastafaripunk  si incontrarono per la prima volta. Scattò una scintilla che darà forma, in seguito, ad un altra bella e fondamentale pagina del libro del rock.
Proprio a Yauch (aka MCA) che produsse nel 2007 il loro ritorno discografico Build A Nation e scomparso nel Maggio scorso, è dedicata la strumentale MCA Dub che chiude questo disco, il nono della loro frastagliata carriera e che vede ancora riuniti H.R. (voce), Dr. Know (chitarra), Darryl Jenifer (basso) e Earl Hudson (batteria) in formazione originale dopo anni abbastanza bui e musicalmente deludenti, fatti di divorzi, ritorni, tentativi di rimpiazzare (inutilmente) H.R. e miseri esperimenti per rimanere a galla musicalmente, e mi viene in mente l'esiguo God Of Love, uscito nel 1995 per l'etichetta personale di Madonna e sicuramente il punto più basso della loro carriera.
Into The Future aggiunge poco alla loro storia, ormai scritta, ma è un disco che funziona più degli altri che lo hanno preceduto negli ultimi vent'anni. Ci ritroviamo tutto quello che li ha resi famosi e unici: una produzione sporca quanto basta, la "gola" raschiosa, acuta e riconoscibilissima di H.R., le schegge di veloce e diretto hardcore old school come Come Down, Youth Of Today, We Belong Togheter, Yes I, che dicono tutto quello che devono dire in meno di due minuti, gli stop and go pieni di groove di Suck Sees  ma anche un po' di quella pesantezza metal che animò i dischi di metà carriera come Quickness(1989) e Rise (1993) in Popcorn, Into The Future, Earnest Love e i riff con gli stacchi thrash metal di Fun.
E poi il reggae/dub. Incontrato per la prima volta ad un concerto di Bob Marley e attraverso i dischi che arrivavano dall'Inghilterra, quelli dei Clash per primi. Da quel momento, il loro graduale passaggio al rastafarianesimo che segnò tutta la carriera personale dei singoli membri, i testi e la musica del gruppo: oggi i segni sono nella "fumata" psichedelia di Rub a Dub Love, nel dub elettro di Jah Love, e nella strumentale Maybe A Joyful Noise che recupera addirittura qualche seme di jazz, il loro primo amore.
Un ritorno al futuro ben gradito ed una band che sembra -finalmente-ritrovata, nella carica e nella ispirazione.

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