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giovedì 22 novembre 2012

RECENSIONE: FRANCESCO DE GREGORI (Sulla Strada)

FRANCESCO DE GREGORI  Sulla Strada  ( Caravan, 2012)

"...alla fine di un viaggio c'è sempre un viaggio da ricordare". Così cantava Francesco De Gregori in Viaggi e Miraggi, canzone contenuta in uno dei suoi dischi più on the road di sempre, 'Canzoni d'Amore' del 1992, a cui Sulla Strada può essere accostato per temi e varietà musicale. Dopo vent'anni, a 61 primavere e un cappello da marinaio (stile Chuck Berry) calato in testa, la sua memoria è ancora talmente ampia, lucida e ispirata da lasciare spazio a tanti altri ricordi (viaggi). Ancora tante valigie da fare e disfare, ma sempre pronte da caricare sopra ai bagagliai di macchine, treni, aerei e navi. De Gregori , in verità, è tra i pochi cantautori "storici" (e viventi) italiani a non aver mai raggiunto una meta, a non essersi mai adagiato su formule musicali o periodi storici, anche se qualcuno, ne conosco, sarebbe in grado di affermare il contrario. I suoi fari li ha sempre tenuti accesi, di giorno e di notte, al chiaro del sole e in galleria. Puntati in avanti, pronti a cogliere un'ispirazione sempre in movimento, nel presente come nel folk/rock "proletario", vagabondo e imbottito di visioni quotidiane dell' iniziale titletrack Sulla Strada, ispirata nel titolo da Kerouac ma forse la meno incisiva e più scontatamente degregoriana del lotto, ma soprattutto facendo tesoro, come i più grandi cantautori folk sanno fare, della memoria storica e popolare del proprio paese, riuscendo ad attraversare epoche e momenti diversi come solo un treno ad alta velocità riuscirebbe a fare oggi, anche se per De Gregori una vecchia e lenta locomotiva dei primi '900 sarebbe più adatta, se non altro per riuscire ad ammirare meglio gli scorci dei paesaggi. Memorie (vedi la La Guerra) che con le nuove generazioni andranno piano piano a spegnersi, per questo preziose. Per questo prezioso. Il viaggio, oltre che musicale come sempre (dal rock al country, dal blues allo swing, dal rebetiko alle atmosfere latineggianti), è un excurcus nella memoria storica. Anche questo è viaggiare.
Dal nostalgico quadretto seppiato dei primi del '900 di Belle Époque ("Van le troie illuminando il cammino sgangherato del sergente innamorato che di notte se ne va, che di notte, che di notte tutti i gatti sono grigi , tutti i cani sono neri, non è ancora già domani, ma non è ancora ieri...ti bacio e ti butto vita mia come un pezzo di pane..."), passando per i ricordi di un "soldatino" nel rock tirato di La Guerra, quasi una continuazione del suo "must" Generale, con cori e chitarre affilate che sembra quasi uscita dalla penna dei fratelli Severini (Gang).
Scomoda i poemi epici, riesumando un Omero insolitamente canterino, per ricordare gli anni d'oro del pop italiano e sottolineare il buio musicale di oggi  in Omero al Cantagiro, fino ad arrivare al presente di Ragazza del '95, (con Malika Ayane ai cori come in Omero Al Cantagiro) tanto moderna nel testo quanto antica nel riportare alla mente il caotico caos di fauna umana  con valigie di cartone al seguito che animava il porto della sua vecchia Titanic. Dove là c'era una marea di gente in cerca della propria strada (via mare), qui c'è una solitaria e giovane donna, ancora minorenne, persa in un aereporto in attesa di imbarcarsi verso la speranza a low cost. Il Futuro? Dove? Dove "...comincia la terra e ricomincia il mare".   
Viaggiare è anche indagare nella propria vita personale e De gregori, finalmente, mette in piazza un piccolo episodio privato, tanto normale e quotidiano nella vita di qualsiasi artista famoso e conosciuto ma che riesce a tratteggiare il carattere dell'autore meglio di una qualunque seduta psicoanalitica; ma anche utile nel mettere importanti paletti tra artista e fan, spesso abbattuti dagli atteggiamenti invasivamente maniacali dei fan e perchè no, da quelli altezzosi e distaccati delle rockstar arrivate. In Guarda che non sono io, musicata dal maestro Nicola Piovanisi chiama in causa in prima persona:
"E io gli dico scusa, però non so di cosa stai parlando / sono qui con le mie buste della spesa, lo vedi che sto scappando / Se credi di conoscermi non è un problema mio / e guarda che non sto scherzando / guarda che non sono io", per poi rientrare a far parte di tutta l'umanità, ancora così piccola e debole di fronte alla grandiosità della vita, nella splendida Passo d'Uomo
E l'amore? Anche l'amore è un viaggio affascinante e misterioso. Presente anche stavolta, anche se lasciato ai margini: cantato nella confidenzialità di  Showtime e nella casualità di un incontro, di una serata romantica e del rinnovato mistero di un sentimento "mascalzone" nella leggerezza di Falso Movimento, suonata come un lieve soffio di ponentino che fa tintinnare un brindisi fra innamorati con la città eterna sullo sfondo.  
Non aver mai messo in discussione il proprio lavoro. Questa è la sua forza.
Grande prova ne è stato il tour  Pubs and Clubs dello scorso anno, uno dei migliori della sua carriera, dove ancora una volta le canzoni si rinnovavano sotto nuovi arrangiamenti come insegnato dal suo mentore Dylan, ma soprattutto con un contatto umano ritrovato- cercato e chissà se recepito? (qui sarebbe Dylan a doversi ispirare)- che sembra mettere ancor più in evidenza le parole di Guarda che non sono io.
L'uomo e l'artista. In mezzo, il lungo percorso che porta l'uno verso l'altro e viceversa. Questo è il disco. Fatto alla vecchia maniera, 9 canzoni (con almeno tre capolavori secondo me: Passo d'Uomo,Belle Époque e Guarda che non Sono Io), poco più di 40 minuti, nessun riempitivo inutile, a meno che non consideriate le sue parole già in grado di riempire i vuoti. Prodotto da Guido Guglielminetti e suonato con la stessa band che lo accompagna nei live: Alessandro Valle, Lucio Bardi, Alessandro Arianti, Paolo Giovenchi, Stefano Parenti, lo stesso Guido Guglielminetti e Elena Cirillo.
Arrivederci sulla strada...again. 

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