Con un po' di ritardo, grazie alla segnalazione di una amica americana (thanks Tracy), mi si intrufola sulla cartella musicale del pc questo Shakey Graves. Posto sbagliato per conservare la sua musica, ma per ora bisogna accontentarsi. Dietro al monicker Shakey Graves, si nasconde il texano (di Austin) Alejandro Rose-Garcia e la sua musica assolutamente lo-fi, dalla antica e primordiale formula folk/blues che si fa bastare una chitarra, un banjo, claphands, battiti di piedi e poco altro per catturare l'attenzione ed ipnotizzarti all'ascolto. Ti odio pc.
Alla disperata ricerca di qualche nozione biografica sul web, ottengo ben poco, se non sapere che il suo è un passato da attore cinematografico che nel 2005 fu folgorato dalla musica che si è presentata sottoforma di fantasma, da lui catturato e messo in gabbia. La folgorazione sembra arrivare dopo l'ascolto di un vecchio vinile anni sessanta della cantautrice folk Buffy Sainte -Marie, scoperto, insieme a tanti altri, dopo aver dato in pegno il suo banjo per l'acquisto di un giradischi e tanti vecchi vinili.
Il suo album si può ascoltare interamente e scaricare su bandcamp. Al nostro piace mettere mistero, tanto da giocare ironicamente con le date: l'anno di uscita del disco è il 1987 e una canzone registrata live, City in A Bottle reca addirittura la data 2023, mentre lui gioca a fare Tom Waits in mezzo ai fiati.
Tutte le canzoni sono volutamente sporche e acustiche, registrate con sovraincisioni spesso dozzinali e poco precise ma, proprio per questo, emanano quel fascino che sa di spontaneità e verità, raccontando la sua America fatta di tante strade ancora polverose, tante ingiustizie e romantici e disperati amori per la vita.
Basta l'opener Unlucky Skin per dare l'idea della cifra stilistica dell'intero album: banjo, battiti e armonica con la voce spesso doppiata. Un one-man band dei tempi andati, un hobo solitario e viaggiatore che ha raccolto lungo la strada le parole da mettere in musica, capace di colpire l'immaginario in presa diretta. Buona la prima.
Sorprendentemente affascinante la rilettura blues di I'm On Fire di Bruce Springsteen che, svestita di quella patina anni ottanta, diventa quasi un altra canzone tanto che il taglio di 6 inch in mezzo all'anima sembra ancora più lungo e doloroso.
Romantiche nottate sotto la luna che sembra illuminare distese di campi di cotone (Gerorgia Moon) e sonnolenti viaggi tra polverose strade di campagna e lunghe autostrade coast to coast. Piccoli paesi di campagna e grandi città. Falò accesi e instancabile finger picking (Roll the Bones).Voce rotta e incubi che giocano a disturbare la realtà e il sogno. Tante voci vaganti (Business Lunch), tutte meravigliosamente ipnotizzanti e ammaglianti.
Shakey Graves, a quanto ho capito, è alla disperata ricerca di fondi per poter realizzare un nuovo disco, magari con l'aiuto di qualche casa discografica che ancora-distratta- non lo ha notato, diversamente dalla sua città, Austin, che lo ha già adottato a nuovo beniamino locale della folk-music.
Per ascoltare Roll The Bones.
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