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mercoledì 16 maggio 2012

RECENSIONE: MOLLY HATCHET ( Regrinding The Axes )

MOLLY HATCHET Regrinding The Axes ( Universal Music, 2012)


Il corposissimo Regrinding the Axes aggiunge poco o nulla alla carriera dei veterani Molly Hatchet. Un buon antipasto per la prossima calata in Italia in compagnia dei "fratelli di Jacksonville" Lynyrd Skynyrd a Vigevano, il prossimo 13 Giugno. Trattasi, in gran parte, della riproposizione di Southern Rock Masters, disco uscito nel 2008, a cui sono state aggiunte tre bonus tracks e mischiato l'ordine delle canzoni.
15 covers rilette alla loro maniera che arrivano a due anni dall'ultimo disco "Justice", album che confermava la strada intrapresa dal 1996, con l'entrata in formazione del cantante Phil McCormack, che con la sua voce possente è stato il miglior sostituto di Danny Joe Brown e Jimmy Farrar ( a me non dispiaceva) trovato sulla piazza, per cancellare alcune cadute di tono degli anni ottanta (su tutti: i poco sopportabili Deed id Done-1984 e Lightning Strikes Twice-1989) .
Strada che Bobby Ingram (assurto a leader assoluto della band) ha voluto sempre più intrecciata con la pesantezza hard, sfiorando l'epicità metal, appesantendo sempre più le caratteristiche che distinguevano i Molly Hatchet dal resto delle formazioni southern rock, fin dal loro epico esordio del 1978.
Da alcuni anni, il ritorno di Dave Hlubek, chitarrista e tra i fondatori della band, nella formazione originale dal 1978 al 1985, ha riallacciato i ponti con la primissima line-up, ridando un po' di continuità alla loro storia.
C'è veramente un po' di tutto in questo album. Dagli omaggi all'epoca d'oro del southern rock con una lunghissima Free bird (già nella scaletta dei Molly Hatchet e registrata anche live in Double Trouble -1986, con la voce del compianto Danny Joe Brown, e canzone vittima di numerosissimi tentativi di emulazione da parte degli Hatchet) alla dolce e sognante Melissa degli Allman Brothers Band.
Il chitarrismo torrenziale di Leslie West e dei suoi Mountain nella epocale Mississippi Queen e quello altrettanto ruspante e blues nell'apertura affidata a Bad to the Bone di George Thorogood, e in Sharp Dressed Man degli ZZ Top. Tutto pane per le chitarre di Hlubek e Ingram.
Per non creare preferenze e scelte nell'eterna diatriba tra Rolling Stones e Beatles, i Molly Hatchet scelgono due brani per ogni band: poco riuscite Back in The U.S.S.R. e la pianistica Yesterday, meglio con Tumbling Dice e Wild Horses, più vicine alla loro attitudine.
Tra la poco fantasiosa scelta della solita Boys Are Back in Town dei Thin Lizzy (gli irlandesi hanno fatto molto altro e di meglio), c'è una lunghissima Layla (Derek and the Dominos) dal vivo, la rilassante Tequila Sunrise degli Eagles e le già conosciute, e loro, Dream I'll Never See e Get In the Game, registrate live.
Nulla di nuovo sotto il sole del sud, se non il pretesto di ascoltare una manciata di storiche canzoni reinterpretate con il vigore che alla band non è mai mancato in quasi quaranta anni di carriera.Un disco, giusto per completisti e fans devoti alla "tagliateste" Molly, ancora tantissimi ed irrudicibili soprattutto qui in Europa (Germania in primis).






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