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domenica 12 settembre 2010
RECENSIONE: TOM JONES (Praise & Blame)
TOM JONES Praise & blame (Island, 2010)
A volte fidarsi del proprio istinto musicale può metterti di fronte a piacevoli sorprese che la ragione non mette nemmeno in discussione. Chi l'avrebbe mai detto che un disco di Tom Jones potesse essere una rivelazione. Le prime indiscrezioni su questo disco erano le colorite frasi dei dirigenti della Island records, etichetta di Jones, che pensarono subito ad uno scherzo dopo che il gallese dalla voce d'oro presentò loro le nuove canzoni. Gli echi di quella Sex Bomb che tanto lo rilanciarono nel mercato discografico aleggiavano ancora nell'aria intorno ai dirigenti Island come al sottoscritto, per finire immediatamente schiacciati e azzerati appena parte la prima traccia di questo disco.
Che con quella voce Jones potesse permettersi di cantare ciò che vuole è fuori di dubbio, che la sua frequentazione di Elvis dai metà anni sessanta con le paillettes e le luci di Las Vegas incluse e il primo tentativo fallito di avvicinarsi al country negli anni ottanta, non sono credenziali valide a giustificare un disco perfetto come questo.
Jones si cala tra la polvere delle highways e l'odore del legno tarlato di vecchie chiese abbandonate, proprio come quella di copertina, fa un giro a New Orleans e ne esce vincitore con un album "americano" che tanto sarebbe piaciuto a Johnny Cash.
Jones è un animale camaleontico, ancora piacente a settantanni ma che finalmente ha deciso di mostrare i piccoli e veri segni del tempo che hanno attecchito anche sul suo corpo lasciando però intatta quel dono di Dio che è la sua voce.
Proprio a Dio, alla ricerca di redenzione, sembra improntarsi tutto il lavoro e la scelta delle canzoni. Sacro gospel, blues, rock'n'roll, Rockabilly e country sono gli ingredienti di questo disco.
Prodotto da Ethan Johns, uno dei produttori più richiesti degli ultimi anni, già al lavoro con Ryan Adams, Ray Lamontagne, Kings of leon e Paolo Nutini tra i tanti e suonato da grandi musicisti tra cui spicca lo stesso produttore alle chitarre e Booker T. Jones al piano.
Il disco si apre con una canzone di Dylan ripescata da quel grande disco che fu Oh Mercy(1989),What good am i?, forse messa lì in apertura a dare un significato profondo a questo lavoro, ponendosi e facendo sua la domanda che si pose Dylan(Come posso dirmi buono se dico cose sciocche?/E rido in faccia a ciò che il dolore crea?). Che Jones abbia voglia di voltare pagina veramente? O si tratta solamente di un piacevole e divertente presa in giro?
Le canzoni che seguono sono una buona risposta , a chi ascolta cercare la bontà della proposta. Io ne sono stato conquistato.
Le canzoni più rock che vanno dall'invocazione al Signore del gospel-blues di Lord Help scritta da Jesse May Hemphill, con chitarre in crescendo e bene in evidenza che diventano sferraglianti in Burning Hell, un blues di John Lee Hooker che Jones canta come se avesse sempre avuto il diavolo dalla sua parte e che non ti saresti mai aspettato. E che dire se Strange things è trasformata in un Rockabilly con tanto di cori femminili così come Don't knock e Didn't it rain che avrebbero reso felice il vecchio amico Elvis. A controbilanciare il testoterone rock'n'roll di queste tracce, Jones piazza alcune chicche di dark country ballads come la preghiera If i give my soul di quell'autentico outsider cristiano che è Billy Joe Shaver, Did trouble me o Nobody's fault but mine dove la voce di jones si esalta in una interpretazione da applauso. A chiudere il disco, forse un ringranziamento e omaggio a chi da questi tipi di dischi ha saputo riinventarsi la carriera cantando forse con più cognizione di causa, questo bisogna ammetterlo, la sofferenza e la fede nel signore. Ain't no grave e Run on (la God's gonna cut you down del man in black, qui diventa un blues) hanno più di un collegamento all'ultimo Johhny Cash delle American recordings. Dischi che sembrano aver indicato la strada da seguire per artisti in rilancio di carriera vedi le ultime prove di Neil Diamond, Kris Kristofferson, Robert Plant e da oggi mister Jones. Alla prossima mossa per capire dove colllocare questo disco che comunque merita più di un ascolto.
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