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sabato 19 giugno 2010
RECENSIONE: ROKY ERICKSON (True love cast out all evil)...inferno e ritorno...
ROKY ERICKSON with OKKERVIL RIVER True love cast out all evil (Anti-2010)
"Il manicomio era saturo di fortissimi odori.Molta gente orinava e defecava per terra. Dappertutto era il finimondo. Gente che si strappava i capelli, gente che si lacerava le vesti o cantava sconce canzoni" da "L'altra verità- Diario di una diversa", ALDA MERINI.
Ecco, forse Roky Erickson, che il destino ha voluto vivesse le stesse esperienze della giovane Alda Merini all'interno di un manicomio, cantava canzoni seduto sul suo letto nel silenzio irreale di ospedali/prigioni, straziati da urla e grida di persone "diverse" da cosa o chi, non si sa. Erickson come la Merini ha conosciuto l'elettroshock, Roky sarà ricordato come uno dei più lucidi (mai parola è più giusta come in questo caso) esempi del nascente rock psichedelico negli anni sessanta, con i suoi 13th Floor Elevators e per dischi in cui raccontava il suo mondo parallelo abitato da alieni e demoni, dove fare delle camminate con gli zombie era prassi, il diavolo era di casa e i cani avevano due teste, insomma procuratevi il suo superlativo "The evil One" del 1980.
Se però volete conoscere oltre il suo mondo parallelo anche qualcosa delle sue esperienze reali e più dolorose, fatte di entrate ed uscite da ospedali psichiatrici e finalmente dopo anni di oblio l'aver ritrovato e riassaggiato un briciolo di vita con il riappacificamento con la propria persona e con i suoi affetti, correte a prendere il nuovo disco di Erickson, uscito a distanza di quindici anni dall'ultimo lavoro in studio.
Aiutato in fase di produzione da Will Sheff e dai suoi Okkervill River come band di supporto, "True love cast out all evil" si candida ad essere una delle più strazianti ma al tempo stesso speranzose autobiografie messe in musica. Composto da vecchie canzoni scritte nei periodi più bui della sua esperienza di vita e nuove che mettono in fila, attraverso dodici episodi, i pensieri di un uomo che ha vissuto l'esistenza ai margini della normalità, quando sedute di elettroshock erano considerate normali per chi normale non era considerato. "...Electricity hammered me, through my head, until nothing at all..." da Ain't blues too sad.
Lontani dallla psichedelia dei suoi 13th Floor Elevators e dall'hard blues di "The evil one", questo è un lavoro di cantautorato che però non perde occasione di riallacciarsi con il passato. L'apertura affidata alla registrazione casalinga di "Devolutional number one" ci fa piombare in un'atmosfera asettica fatta di sola voce e chitarra, vuoto interiore dove la ricerca del proprio Gesù diventa fondamentale (...Jesus is not hallucinogenic mushroom...).
Il passato musicale riaffiora come nel finale elettrico e psichedelico di "Goodbye sweet dreams" o nel rock di "John Lawman". Toccante e suggestiva è "Be and bring me home", ballata pianistica dove Erickson mette a fuoco e denuncia come i giudizi delle persone possano rovinare la vita dei più deboli che possono servirsi dell'unica arma a disposizione:l'indifferenza unita al pensare con la propria testa. La title track e la finale "God is everywhere" sono il manifesto del nuovo Erickson che ha incontrato Dio sulla sua strada come "Think of as one" è il manifesto che invoca l'unicità di ogni uomo.
Canzoni quasi intime, che richiamano il folk ed il blues e dove la presenza dei suoi concittadini texani Okkervil River si limita ad accompagnare il maestro, lasciando poca traccia di sè, se non in alcuni episodi, perchè, dopo tanti tributi da parte del più disparato mondo musicale, Roky Erickson è tornato per restare. La musica ha ancora bisogno di "pazzi" come lui.
"...L'emarginazione è anche un diritto sociale..." ALDA MERINI
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