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domenica 13 aprile 2025

RECENSIONE: ELTON JOHN & BRANDI CARLILE (Who Believes In Angels?)

 

ELTON JOHN & BRANDI CARLILE   Who Believes In Angels? (EMI, 2025)



in due è meglio

Quando finisce 'When This Old World Is Done With Me', ultima canzone in scaletta delle dieci, la sensazione di trovarsi di fronte al testamento finale della coppia artistica formata da Elton John e Bernie Taupin è forte, tangibile, quasi dichiarata con firme in calce, che se davvero dovesse esserlo di meglio davvero non si potrebbe fare. Elton John si stacca, rimane solo con il suo pianoforte e poco altro (un synth e alcuni fiati nel finale) a cantare, con voce segnata dal tempo,  la summa di una carriera, unica, trionfale senza eguali. "Quando questo vecchio mondo avrà finito con me, quando chiuderò gli occhi, rilasciatemi come un'onda dell'oceano, restituitemi alla marea". 

Ma questo disco non è un matrimonio a due ma uno di quelli allargati, quelli che vanno di moda oggi direbbe qualcuno, ma  funziona benissimo, certo meglio di alcuni matrimoni "classici", quelli "normali" direbbe sempre quel qualcuno. Un vero matrimonio a quattro. Da una parte chi ci mette voce, volto, corpo e talento:  Elton John e Brandi Carlile. Dall'altra: chi ci lavora dietro con eguale talento, ossia il paroliere Bernie Taupin e il produttore, musicista (suona un po' tutto) e autore Andrew Watt, uno che ci sa fare e qui lo fa bene, nonostante sia diventato come il prezzemolo, portandosi sempre dietro alcuni amici fidati. Questa volta sono della famiglia i due Red Hot Chili Peppers Chad Smith (batteria) e Josh Klinghoffer (chitarra ma più impegnato con le tastiere) più  Pino Palladino (basso), session man con il curriculum lungo e di spessore (The Who, NIN, Eric Clapton, Jeff Beck).

Ma se il disco finisce con un velo di malinconia per ciò che è stato, l'inizio non è da meno, sembra di tornare indietro a quei fine anni sessanta quando Elton John e Taupin iniziarono il loro sodalizio artistico, aggiungete una Brandi Carlile sempre sul pezzo (spesso è lei in prima linea) e una canzone dedicata a Laura Nyro ('The Rose Of Laura Nyro', dopo una lunga intro strumentale, è piena di riferimenti alle sue canzoni nel testo) e il disco potrebbe già stare in piedi con i suoi due estremi. 

In mezzo invece c'è tutto il resto: una giostra colorata, a tratti kitsch come la copertina, di pop rock frizzante, nato in soli venti giorni da fogli completamente bianchi e da imbrattare liberamente di parole e musica. La missione è riuscita particolarmente bene.

Un omaggio alla California musicale degli anni settanta dove rock’n’roll ('Little Richard's Bible' è l'omaggio a uno dei miti  di Elton John che va oltre la musica, concentrandosi anche alla vita personale, dura e piena di insidie dell'architetto del rock and roll), il country (l'accopiata formata da 'A Little Light' e 'The River Man', una delle migliori dell'album) e gli anni cinquanta alla Everly Brothers ('Someone To Belong To') si incontrano, trovando la sublimazione nella title track che sembra iniziare là dove finiva Goodbye Yellow Brick Road.

Brandi Carlile, una carriera in continuo crescendo la sua, che già aveva contribuito a riportare sulle scene Joni Mitchell, corona il sogno di duettare con uno dei suoi miti: "è sempre stato il mio super eroe e abbiamo fatto un disco fantastico", e per lui scrive il testo di 'Never Too Late' che compare nella colonna sonora del documentario dedicato a Elton John, dallo stesso titolo e uscito per Disney Channel. I due hanno molte cose in comune: l' omosessualità, i figli, le famiglie. "Ho iniziato pensando: io sono una donna gay, Elton è un uomo gay e entrambi abbiamo figli e famiglia. I nostri sogni sono diventati realtà". Ecco allora la contagiosa e liberatoria 'Swing For The Fences', un invito a essere sempre se stessi e 'You Without Me', neo folk, dedicata alla figlia undicenne.

 Un disco, corto (lungo il giusto nei suoi 44 minuti), essenziale, che pare riportare le lancette indietro agli anni settanta e Elton ad una forma artistica che gli ultimi due dischi parevano aver un poco annebbiato. Gioia, armonia e freschezza senza tempo.

"Questo disco verte esattamente alla ricerca di gioia ed euforia" chiosa la Carlile. Mentre scrivo l'ennesima bomba russa fa strage di civili ucraini. E allora sotto che di questi tempi ne abbiamo bisogno: schiaccio il tasto play, faccio ripartire il tutto. 






lunedì 7 aprile 2025

RECENSIONE: TENNESSEE JET (Ranchero)

TENNESSEE JET   Ranchero (TJ Music, 2025)

non ci resta che l'America musicale 

L'adolescenza di Tennessee Jet (il cui vero nome è TJ McFarland) potrebbe essere uguale a quella di tanti altri ragazzini americani che grazie al lavoro dei genitori hanno potuto girare in lungo e in largo gli Stati Uniti. Sua madre e suo padre bazzicavano per rodei con un pick up  Ford Ranchero (ecco titolo e copertina di questo nuovo disco) e i cavalli al seguito mentre ad accompagnare il susseguirsi dei paesaggi c'era sempre una radio accesa che passava Bob Dylan, Willie Nelson, Waylon Jennings, Steve Earle e se si cambiava canale uscivano pure le chitarre '90 del grunge che influenzeranno i suoi primi due dischi.

Ecco che quegli ascolti hanno lasciato un segno indelebile venuto utile quando il giovane TJ ha iniziato a imbracciare una chitarra seguendo le orme di quelli che nel frattempo erano diventati per lui importanti quanto e più dei cavalli dei rodei. Iniziò a svrivere canzoni, anche per gente come i Whiskey Myers e Cody Jinks.

"Una volta che ho iniziato a fare la mia musica, ho capito che anche se avessi imparato quei suoni, avrei comunque emulato qualcun altro. Ho dovuto fare musica tutta mia. Per sapere cosa puoi apportare a un genere, a volte è bene fare l'opposto di quel genere, così puoi provare quei vestiti e vedere come ti stanno. Le cose che sono autentiche per te, le conservi. Le cose che non vanno, le scarti" racconta. 

Lo avevamo lasciato nel 2021 con il suo quarto disco South Dakota, un disco folk minimale, armonica, chitarra e voce, figlio diretto del lockdown, lo ritroviamo con questo Ranchero che invece ci mostra più lati della sua personalità musicale, legata comunque all'America.

A prevalere questa volta sembra il lato più elettrico: 'The Oklahoma Rose', hillbilly arricchito da un violino che apre l'album in quarta,  un altro singolare omaggio allo stato del Midwest e a un suo grande artista come Ray Wylie Hubbard, nella canzone omonima che avanza fiera e baldanzosa ricordando 'Come Toghether' dei Beatles,  una  tenebrosa e tagliente 'The Only High', il country rock di To Know Her, l'honky tonk di 'Poetry In Blood' con un banjo a condurre la marcia.

Ma la tensione non cala nemmeno nei momenti più soft: 'Bury My Bones' ha tutta l'epicità delle migliori ballad southern rock, 'From To River To The Sea' è l'episodio più folkie di tutto il disco con un testo "importante" che punta l'occhio alle guerre in medio oriente, la finale 'Love & Anarchy' chiude il disco con sottile fantasia di psichedelico country.

Nei suoi brevi 37 minuti di durata c'è anche il tempo per la cover di 'Runaway Train' dei Soul Asylum, passati poche settimane fa in Italia.

Anche se in giro da una decina di anni, ormai, anche se è un forte conservatore musicale, Tennessee Jet è uno dei giovani cantautori americani  più promettenti degli ultimi anni, sa scrivere mantenendo una freschezza invidiabile dentro alla tradizione.