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sabato 24 agosto 2024

RECENSIONE: RAY LAMONTAGNE (Long Way Home)

RAY LAMONTAGNE  Long Way Home (Liula Records, 2024)


ma che film la vita


In una recente intervista Ray Lamontagne parlando di 'I Wouldn' t Change A Thing', canzone contenuta in questo bellissimo disco, che in qualche modo si e ci chiede "se siamo felici di dove siamo in questo momento" confessa che qualche anno fa ebbe la fortuna di chiacchierare con Bob Dylan: lo ringraziò e gli confessò che attraverso la sua musica aveva trovato un posto dove stare, un mondo che pensava non esistesse. Da allora trovò la sua strada di musicista. Se c'è un artista che in questi ultimi vent'anni è riuscito a farmi fare  un giro intorno alla musica che amo quello è certamente Ray Lamontagne. Un antidivo che per continuare a mantenersi e mantenere la famiglia con la quale vive in una fattoria del Massachusetts (famiglia composta da sua moglie conosciuta quando entrambi avevano otto anni e i  due figli nati dalla relazione) ha lavorato duro dentro e fuori la musica. Fece pure il falegname per qualche anno.

Long Way Home ha un sottile filo conduttore che vuole portarci a cercare la serenità dentro di noi (la contemplazione di 'Yearning') lasciando fuori da corpo e mente tutto ciò che potrebbe fare da ostacolo. Un viaggio dalla fanciullezza all'età adulta che viene ben spiegato nella title track raccolta di ricordi d'infanzia dove canta di prati verdi, ruscelli di montagna e frutteti sulla collina. Mi è impossibile non riportare alla mente polaroid di certe mie estati in campagna quando l'unico pensiero della giornata era cavalcare una bicicletta con una rudimentale canna da pesca in mano e raggiungere il fiumiciattolo in mezzo al bosco, sperando che qualche pescetto di acqua dolce si lasciasse fregare da un bambino di dieci anni. 

"Ogni canzone di Long Way Home in un modo o nell'altro onora il viaggio. I giorni languidi della giovinezza e dell'innocenza. Le innumerevoli battaglie dell'età adulta, alcune vinte, più spesso perse. È stata una strada lunga e dura, e non cambierei un minuto. Mi ci sono volute nove canzoni per esprimere ciò che Townes è riuscito a dire in un verso. Immagino di avere ancora molto da imparare" spiega Lamontagne. Il verso della canzone di Townes Van Zandt a cui di riferisce è "when here you been is good and gone, all you keep is the getting there" da 'To Live Is To Fly'.

All'uscita di Ouroboros (2016) pensavo che il vecchio Lamontagne dei primissimi dischi lo avessimo perso definitivamente, dentro a album, sì sempre più coraggiosi che si spingevano in territori psichedelici e sperimentali (salutando i Pink Floyd) ma che in qualche modo tradivano quelle origini così semplici costruite su folk, country, soul e blues che ci aveva donato agli esordi. Poi arrivò Monovision (2020) che tornava alla semplicità di un tempo, e ora questo Long Way Home che mette nuovamente in fila i suoi primi grandi amori musicali: da Van Morrison che  influenza il giubilio musicale di 'My Lady Fair' arricchito dai fiati, la west coast dei settanta e il Neil Young bucolico di Harvest rivivono in 'And They Called California', il soul e il gospel marchiato Stax nell'apertura 'Step Into Your Power'.

Registrato e prodotto nel suo studio di registrazione insieme al fidato Seth Kauffman con l'aiuto di pochissime persone tra cui le Secret Sisters ai cori e Carl Broemel (My Morning Jacket) alla pedal steel e Ariel Bernstein alla batteria. La sua incredibile voce e i tanti strumenti che suona. 

Se tutti fossimo in grado di trovare bellezza e pace interiore negli accadimenti della vita come ha fatto Ray Lamontagne nelle nove canzoni di Long Way Home (poco più di mezz'ora tra cui la strumentale 'So, Damned, Blue') il mondo sarebbe un posto migliore per tutti. Bentornato, anzi no, perché in fondo Lamontagne non se n'è mai andato e se oggi è qui è perché ha onorato tutto il suo passato. Bello e brutto.

Positivo, riflessivo, introspettivo. Semplice. L'album di questo quieto fine Agosto. Comunque il fatto che la mia canna da pesca di legno non tirò mai su nessun pesce poteva già mettermi in guardia su cosa potesse essere la vita che avevo davanti a soli dieci anni.





lunedì 12 agosto 2024

RECENSIONE: CEK & THE STOMPERS (Mr. Red)

CEK & THE STOMPERS  Mr. Red (Gulf Coast Records, 2024)



salto americano

Il Cek (Andrea Franceschetti) ha iniziato il tour per presentare il nuovo album Mr. Red nel biellese, aprendo per la Fabio Treves Band. E io non c'ero, quella sera ero emigrato in quel di Torino ma sempre per la buona causa musicale. Peccato: per una  volta che lo avevo sotto casa...

Discograficamente lo avevo invece lasciato sulle rive del suo lago d'Iseo sulle sponde di Pisogne, paese che lo ha visto crescere, l'ultimo che si specchia sul lago prima di salire in Valcamonica. Era in attesa dell'arrivo della Sarneghera, tempesta che nelle giornate estive porta scompiglio e che diede il titolo all' ultimo album Sarneghera Stomp uscito nel 2021. Un disco segnato fortemente dalle cicatrici (anche personali) lasciate dal lockdown.

Lo ritroviamo tre anni dopo con un progetto completamente diverso, quasi corale, che si avvale dell'aiuto dei suoi Stompers formati da Luca Manenti (chitarre, mandolino e co autore di dieci pezzi insieme a lui), Pietro Ettore Gozzini dai Slick Steve and The Gangsters (contrabbasso), Federica Zanotti (percussioni) e Andrea Corvaglia dei Crowroads (armonica), l'aiuto di Annalisa G. Favero ai cori e della cantautrice, amica e conterranea Laura Domeneghini, autrice di  'Please Me'. L'altra cover è 'Thirteen Days' di JJ Cale che chiude il disco registrato ai Poddighe Studio di Brescia, saga sulla vita on the road dei musicisti e arrangiata in linea con lo stile molto roots che aleggia su tutto il disco. 

L'importante firma per l'etichetta americana Gulf Coast Records, prima band europea a entrare nel rooster, con una distribuzione che coprirà anche l'America naturalmente è solo uno dei tanti pregi di cui si fregia questo disco.

L'album Mr. Red prende il titolo dall'omonima canzone, un veloce blues'n'roll, dedicata  a Lousiana Red, bluesman e chitarrista americano scomparso nel 2012, vero mago della slide che visse una buona parte degli ultimi suoi anni in Germania. Molti tour in Europa e in Italia quindi e proprio durante questi viaggi di città  in città che il Cek ebbe modo di incontrarlo e passarci molto tempo insieme. La canzone è un po' un diario di quegli incontri ricchi di scambi musicali.

Uno dei dischi più vari della sua carriera, ricco di sfumature musicali come insegnato da Ry Cooder,  dal blues dell'iniziale 'The Peach And The Snake' e di 'Seventh Heaven', alle atmosfere autunnali che accompagnano 'The Heat' a quelle irish che soffiano dentro 'Fairy Tales', al contrasto vincente che contrappone l'elettrica 'Once Upon A Time In The South' alla folkie e solitaria 'Going To The Circus'.

C'è poi 'Juanita', storia di un ragazzo innamorato del blues che molla tutto e va nel sud degli Stari Uniti, a New Orleans, per realizzare il suo sogno: finirà in Spagna, innamorato, dove sposerà la sua Juanita. Storia che accomuna. 

Storpiando un vecchio detto possiamo dire "non si possono insegnare nuovi trucchi a un vecchio bluesman", e il Cek raggiunta la mezza età è a tutti gli effetti uno dei migliori alfieri del blues italiano che potrebbe insegnare un po' di cose a tanta gente. Sempre unico e inimitabile.






lunedì 5 agosto 2024

RECENSIONE: EELS (Eels Time!)

EELS
 Eels Time! (eWorks, 2024)






Cos'è la vita? 

Tutto ciò che passa in mezzo tra un Mr E gigione e ciarliero che l'anno scorso (Aprile 2023) all'Alcatraz di Milano aveva imbottito la scaletta di un concerto superbo dall'anima rock'n'roll con tante canzoni dell'ultimo disco Earth To Dora (2020), quello scritto in piena pandemia ("abbiamo finito per fare alcuni dei migliori spettacoli che abbiamo mai fatto" ) e una foto in bianco e nero postata sui social da Mr E a inizio Maggio di quest'anno che lo ritrae a torso nudo in piedi con fare quasi orgoglioso mostrare una cicatrice lunga 30 cm che gli divide in due il petto, ricordo perenne dell'operazione a cuore aperto che gli ha probabilmente salvato la vita. "Sembra che l'operazione a cuore aperto non sia riuscita a rallentarmi" scrive lui. Ecco l'ultimo suo anno! In tutto questo ha trovato il tempo di incidere un disco che intitola Eels Time! E potrebbe già bastare così. Scritto in parte prima dell'intervento (molte canzoni le ha buttate giù collaborando con Tyson Ritter degli All-American Rejects), indaga con serafica calma pop sul trascorrere del tempo (in 'Time' lo dice chiaramente di quanto a volte ce ne servirebbe "di più") preannunciando in qualche modo ciò che gli sarebbe poi capitato di lì a poco e sbircia tra le pieghe impalpabili dell'amore ('Sweet Smile', in 'If I'm Gonna Go Anywhere' si chiede“ Cos’altro c’è se non l’amore?" in una atmosfera psichedelica). Beatlesiano ('I Can't Believe it's True') con echi Beach Boys ('And You Run') e surreale come sempre quando racconta che la sua relazione più duratura è quella con il pesce rosso di casa ('Goldy'). Un disco a tratti quasi fragile, dalle atmosfere rarefatte, contemplativo sulla fugacità della gioia che sembra cozzare con l'esuberanza rock'n'roll vista e ascoltata nell'ultimo tour visto. Ecco cos'è la vita: un saliscendi emozionale che conosce fin troppo bene. Non rientrerà tra i dischi migliori della sua discografia, certamente tra i più importanti e salvifici (quasi tutti in verità e purtroppo), ma dona comunque un caldo e sincero abbraccio. Già solo il fatto di essere qui ad ascoltarlo dopo che il suo cuore di neo sessantenne è uscito fuori dal corpo per una messa a punto è già di per se un buon ascoltare. C'è una foto simbolica all'interno del disco: mostra Mr. E, con occhiali da sole, giacca e cravatta sotto il "leggero" peso un immenso cielo azzurro... Sì va avanti, di tempo ce n'è anche se mai abbastanza naturalmente.