martedì 24 dicembre 2019

RECENSIONE: GERRY BECKLEY (Five Mile Road)

GERRY BECKLEY Five Mile Road (Blue Elan Records, 2019)




L'altra metà d'America
Se il logo America fosse stampato in copertina questo disco avrebbe qualche chance in più di visibilità. Si tratta invece del nuovo disco solista di Gerry Beckley, una delle due metà del gruppo (l'altra è Dewey Bunnell naturalmente), quello per cui gli anni sembrano non passare mai. Il concerto della band, quest'anno a Verona per festeggiare i 50 anni di carriera, me l'ha confermato. Beckey, 66 anni, ha ancora la stessa aria dell'eterno ragazzo di sempre: elegante ma sportivo, gentile, a modo, in una definizione pop rock come le canzoni che portano la sua firma.
Un disco, a tre anni dal precedente Carousel,  che si riappropria della semplicità degli anni migliori a cavallo tra la West Coast californiana e la sterzata beatlesiana portata da George Martin. Recupera perfino una canzone, 'Home Again', la cui prima stesura risale agli anni settanta. 
Un diario di viaggio che fa da colonna sonora alle fotografie, altra sua grande passione, raccolte in anni di carriera on the road e ora riunite in un libro. 
"Sapevo che questo gruppo di canzoni, anche la scelta del titolo dell'album, avrebbe riguardato il mio viaggio". 
Ma soprattutto si riappropria di molte canzoni che scrisse dieci anni fa per l'album Heart Of The Valley di Jeff Larson. Una collaborazione che all'epoca funzionò e che prosegue in qualche modo qui. 
Un po' Graham Nash, un po' Paul McCartney, le dodici canzoni hanno il dono dell'eterna gentilezza musicale di Beckley, melodicamente pop e costruite in viaggio ('Vagabond') che si sviluppano sul country elettro acustico come nell'apertura 'Life Lessons', l'unica scritta in coppia con Bill Mumy, nel country folk di 'Five Mile Road' con la chitarra ospite di Rusty Young (Poco) o di 'Heart Of The Valley' e 'Sudden Soldier', quest'ultima un'istantanea di una quotidianità negli aeroporti che si è spesso presentata ai suoi occhi durante gli spostamenti della band in tour. Qualche scatto più ritmato nel rock di 'Hang Your Head High' e nell'orchestra che arricchisce 'Calling'. 
Quando si siede al pianoforte fa uscire  il sangue british ('Something To Remember') di sponda Beatles che c'è in lui, nato in Texas da un papà  militare dell'aeronautica americana e madre inglese, cresciuto poi a Londra ma con il successo che lo aspettava nuovamente negli States. 
Beckley suona quasi tutti gli strumenti, con poche eccezioni (ecco Jason Scheff dei Chicago) in un disco costruito come si faceva una volta, tenendo in considerazione la tracklist come si trattasse di un vinile e i suoi due lati (così dice lui). 
Un disco fuori moda che porta comunque l'indelebile marchio America stampato nel cuore. 








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