domenica 9 dicembre 2018

RECENSIONE: JOHN MELLENCAMP (Other People’s Stuff)

JOHN MELLENCAMP Other People’s Stuff (Republic Records, 2018)


poche novità ma continuità e coerenza rimangono immutate 

 Con Other People’s Stuff, John Mellencamp ottiene il massimo dei risultati con il minimo sforzo. Si capisce che non è un disco indispensabile scorrendo i titoli delle dieci canzoni, eppure collegandole tra loro il rebus si risolve e la soluzione è una parola di cinque lettere, da sempre molto cara a Mellencamp. Un disco la cui anima ha bisogno di abbeverarsi da tutte le canzoni scelte con cura e criterio, alcune rivisitate, altre identiche a come erano uscite, cover e vecchi traditional. Sì perché, in definitiva, questa è una raccolta. Non di successi, ma con un tema ben preciso che lega il tutto. Ecco così che il tempo si assottiglia : per una ‘To The River’ che arriva da Human Wheels del 1993, si passa alla più recente ‘Mobile Blue’, opener dell'ultimo album Sad Clowns & Hillbillies uscito lo scorso anno. Poi ci sono canzoni regalate a dischi tributo come ‘Gambling Bar Room Blues’ (Jimmie Rodgers) e ‘I Do not Know Why I Love You ( Stevie Wonder). Altre di più rara reperibilità come una scarna e toccante ‘Eyes Of The Prize’, inno per i diritti civili, che eseguì alla Casa Bianca nel 2010 sotto la presidenza di Barack Obama e una ‘Dark As A Dungeon’ dai sapori irish apparsa in un documentario del 2017 del National Geographic Channel dal titolo From The Ashes, mentre ‘Wreck of the Old 97’ è un vecchio folk che fu registrato da Mellencamp per la raccolta di ballate folk, The Rose e The Briar: Death, Love and Liberty uscita nel 2004. ‘Stones In My Passway’ e ‘Teardrops Will Fall’ arrivano invece dallo stupendo disco di cover Trouble No More, e ‘In My Time Of Dying,’ è un traditional apparso su Rough Harvest. Ecco: TROUBLE NO MORE e ROUGH HARVEST sono i suoi vecchi dischi a cui questo può essere associato. Mellencamp canta di disastri ferroviari dei primi del 900 e miniere di carbone, diritti civili e libertà, esprimendo la sua indignazione verso ciò che ritiene un pericolo per la democrazia e lo fa come ci ha abituato negli ultimi trent’anni tra folk, country, rock’n’roll e blues ridotto all’osso (non mancano violino e fisarmonica), ora giocando di squadra con i musicisti che lo hanno accompagnato nel corso degli anni e ora in solitaria, riducendo il tutto a pura ed emozionale semplicità. Bello notare come la sua voce sia cambiata negli anni. “Queste sono canzoni che sono state registrate negli ultimi 40 anni della mia carriera, ma non erano mai state messe insieme come un pezzo unico di lavoro.” Ecco che quella parola di cinque lettere, “lotta”, diviene il filo conduttore dell’album e di tutta la sua carriera, trascorsa a dare voce ai più indifesi, dal Farm Aid di metà anni ottanta in avanti. La coerenza di un cantautore che difficilmente sbaglia un colpo e questo disco, forse apparentemente inutile, arriva in un momento delicato della storia a stelle e strisce ma pure europea, dove i confini che Mellencamp ha sempre abbattuto, sembrano nuovamente essere dei muri invalicabili. Il momento è giusto e Mellencamp va a colpire ancora una volta il bersaglio.

p.s. Una tirata d'orecchie per la scarna confezione del cd. La seconda consecutiva...






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