mercoledì 28 novembre 2018

RECENSIONE: MARK KNOPFLER (Down The Road Wherever)

MARK KNOPFLER  Down The Road Wherever (British Grove Records/Virgin, 2018)





“non si giudica il disco dalla copertina”
Mentre una manciata di professionisti portano in giro per il mondo le canzoni dei Dire Straits, ingannando i più distratti e facendosi pure pagare profumatamente, Mark Knopfler che di quelle canzoni è il padre fa uscire il suo nono disco solista che ancora una volta gira intorno al rock della vecchia band mantenendo le dovute distanze, marcando territori con il tempo diventati sempre più affidabili e rassicuranti dove il lungo ponte costruito dal musicista per legare le brume britanniche con i paesaggi americani continua a stare bene in piedi e resistere alla modernità e alle intemperie del mercato discografico. Ma non fate come me, pronto a bollare il disco come l'ennesimo disco di Knopfler (pratica diffusa) , forse tratto in inganno dal precedente, poco brillante Tracker, da una copertina che cerca di evocare grandi spazi ma riuscita veramente male nella suo essere dozzinale, a buon mercato e vista altre mille volte, e da una durata complessiva che scoraggia fin da subito, arrivando a a superare i 70 minuti nella versione con bonus track. DOWN THE ROAD WHEREVER è la conferma della professionalità eccelsa di Knopfler, della grande bontà della sua scrittura, figlia diretta della penna dylaniana, evocativa e piena di dettagli come pochi sanno ancora fare, della sua chitarra che non punge più come come una volta ma imbastisce trame e melodie calde e rassicuranti che mai come questa volta cercano nuovi “vecchi” orizzonti che si spingono, forse inseguendo l’amico premio Nobel, verso Frank Sinatra (‘When You Leave’) dove una tromba dipinge velata tristezza, la stessa tromba che colora invece di funky ‘Nobody Does That’ e di colori latini ‘Heavy Up’. Poi, tutto intorno, il Knopfler di sempre, maestro nel raccontare storie e creare quadri romantici e poetici di vita dove i protagonisti sono il tifoso del Liverpool che vaga di notte nella città straniera cantando “You’ll Never Walk Alone” nel bel blues ‘Just A Boy Away From Home’, il musicista con la vecchia valigia e la chitarra che fa l'autostop sotto la neve nell'autobiografica ‘Matchstick Man’ o il paesaggio fantasma di ‘Drover’s Road’ sormontato da stelle e luna. Il Mark Knopfler di sempre è un campione nel costruire rock mai sopra le righe ma ficcanti come ‘Trapper Man’ o singoli azzeccati come ‘Good On You Son’, effettivamente la canzone più furba e che arriva prima, ballate intense come ‘Nobody’s Child’ e la notturna e jazzata 'Slow Learner', ospitare la voce di Imelda May nella bella ‘Back On The Dance Floor’. “È stato fantastico avere Imelda in quella canzone, penso che sia semplicemente fantastica, ha davvero fatto molto per colorarla, è così creativa e divertente.”
Non siamo ai livelli eccelsi di PRIVATEERING, il suo picco solista, ma quasi. Intanto, per sottolineare la buona vena artistica, si prepara con l’uscita teatrale di Local Hero, vecchia conoscenza, per cui ha scritto nuovo materiale musicale.





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