martedì 6 novembre 2018

RECENSIONE: ALL THEM WITCHES (ATW)

ALL THEM WITCHES  Atw (New West, 2018)






In giornate nelle quali si ascoltano dodici versioni diverse ma simili di ’You're Gonna Make Me Lonesome When You Go’ di Bob Dylan, lo stesso tempo lo si può impiegare per ascoltare l’ultimo disco di uno dei gruppi rock più interessanti usciti negli ultimi cinque anni. Il nome del gruppo come titolo, il quinto disco della carriera per la band di Nashville, Tennessee, sembra già segnare un nuovo inizio. Ascoltando gli otto brani in scaletta (51 minuti) è palese la voglia di uscire definitivamente da certi steccati troppo stretti legati alla scena stoner. Non tanto musicalmente quanto come etichetta da portarsi appiccicata addosso. Anche se l'apertura ‘Fishbelly 86 Onions’ è ancora una scheggia di garage stoner in continuo crescendo, già dalla seconda ‘Workhorse’ si capisce quanto la band del cantante e bassista Charles Michael Parks Jr., voce sempre protagonista la sua, abbia intenzione di lasciare aperti i confini, abbracciando soluzioni per nulla scontate, seppur derivative, e in continuo mutamento (‘1st Vs 2nd’), dando sempre pochi appigli per cercare di acciuffarli. Blues, desert rock e psichedelia viaggiano a braccetto: mentre in ‘Half Tongue’ prevale il lato soffuso e sognante, il singolo ‘Diamond’ è scandito dal drumming tribale del batterista Roby Staebler, gran lavoro su tutto il disco il suo così come degno di nota è il battere sui tasti di Rhodes e organo di Jonathan Draper (belle le influenze soul e jazz catturate in ‘Half Tongue’), ‘Harvest Feast’ è un lento e notturno blues di undici minuti che sa tanto di orgia tra Free e Black Sabbath condotto dalla chitarra protagonista di Ben McLeod (anche produttore del disco) con una lunga coda finale che si tramuta in jam, ottimo esempio della loro attitudine live.
“L'improvvisazione ha un ruolo in tutte le nostre canzoni, sia che le persone lo sentano o no. ‘Harvest Feast’ è un buon esempio: prendere qualcosa di deprimente come una canzone blues e lasciarla uscire dalla nebbia. Improvvisare ci fornisce gli strumenti per far vivere e respirare veramente la musica”.
‘HTTC’ procede sincopata, straniante e marziale con un esaltante crescendo che porta al gran finale di ‘Rob’s Dream’, una delle migliori tracce: sette minuti che alternano momenti di liquida psichedelia pinkfloydiana e scatti rock alla Led Zeppelin. Diretti, credibili e senza fronzoli, Atw si prenota un posto tra i miei dischi dell’anno.










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