martedì 4 settembre 2018

RECENSIONE: MARK LANEGAN/DUKE GARWOOD (With Animals)

MARK LANEGAN/DUKE GARWOOD  With Animals (Heavenly Recordings, 2018)
 
 
 
 
 

il sentiero delle ombre
Quando cinque anni fa uscì Black Pudding il primo disco della coppia Mark Lanegan/Duke Garwood, Lanegan fu molto chiaro nello descrivere il suo nuovo compagno di viaggio britannico, conosciuto nel 2009 : “uno dei miei artisti preferiti e una delle migliori esperienze di registrazione della mia vita." Parole importanti. Da allora i due hanno iniziato una intensa collaborazione sublimata in questo secondo disco. Registrato in analogico su otto piste, WITH ANIMALS segue la scia minimale di quel debutto, riuscendo nell’impossibile impresa di essere ancora più scarno e all’osso ('Lonesome Infidel' è costruita con il nulla) colonna sonora perfetta per un viaggio in solitaria dentro agli abissi della mente umana. Garwood ha condotto la parte musicale composta da chitarre che si adagiano su un tappeto sbiadito di beat e loop elettronici, quasi da battito cardiaco, in un flusso creativo istintivo e solitario (la title track è nata proprio così con Garwood che si allontana dall’umanità per rifugiarsi nel suo io con l’unica presenza degli animali intorno), Lanegan ci ha messo la voce, il malessere e la profondità che si trascina dietro da una vita.
“La nostra musica è istinto, non ne parliamo, la facciamo e basta. Penso che se tu sei in pace col tuo lavoro e lo senti, le cose funzionano, fluiscono, vengono da sé…” dice Garwood.
Sono nate canzoni rarefatte che sembrano uscire da anfratti fumosi (‘My Shadow Life’ dove compare pure un sax) nelle ore più scure, misteriose e silenziose della giornata (‘Save Me’, ‘Ghosts Stories’) quando anche i sentimenti in apparenza più luminosi indossano gli abiti più scuri e iniziano a farsi le domande più inopportune giocando pericolosamente con la morte (‘My Shadow Days’, ‘One Way Glass’). Quando a prevalere è la necessità di redenzione (il folk nero di ‘Upon Doing Something Wrong’).
Sono blues anticonvenzionali, quelli preferiti da Lanegan (‘Spaceman’, ‘LA Blue’) che sublima il tutto nella finale ‘Desert Song’, ballata da crepuscolo da una manciata di minuti che non sembra avere un parola fine, ma prolungarsi in modo infinito tra le terre di Joshua Tree, alla ricerca di una luce salvifica.
 
 
 
 

Nessun commento:

Posta un commento