lunedì 19 febbraio 2018

RECENSIONE: DALLAS MOORE (Mr. Honky Tonk)


DALLAS MOORE        Mr.Honky Tonk (2018)






Li chiamavano “Honky Tonk Heroes” e DALLAS MOORE da più di vent’anni ne segue le orme e porta avanti la tradizione nel migliore dei modi. Immediati i riferimenti a personaggi come Waylon Jennings e Billy Joe Shaver. Due a caso che contano. Benchè questo MR. HONKY TONK sia solo il quarto album in carriera, per cercare il suo esordio bisogna correre indietro al 1991. Cappellacio calato in testa, lunga e folta barba, look e approccio non troppo lontani da quelli di Chris Stapleton-tanto per rimanere nel presente di questi ultimi anni-, anche se Stapleton gioca spesso e volentieri di classe soul mentre Moore è notevolmente più grezzo.
Prodotto e registrato da Dan Miller (figlio di Roger Miller) a Nashville, inizialmente doveva essere un EP di sole quattro canzoni che si è allungato a otto nell’ultimo anno, quando il songwriter di Cincinnati ha trovato nuove ispirazioni per scrivere durante i tour aperti per alcuni suoi eroi come Dean Dillon, Billy Joe Shaver (eccolo) e Ray Wylie Hubbard. Un anno, il 2017 , che lui stesso incorona come uno dei migliori della sua vita: è diventato padre, l’Ameripolitan Music Awards di Austin ha incoronato il suo gruppo come la migliore outlaw country band dell’anno, e perfino avvenimenti tristi come la morte di Tom Petty sono stati d’aiuto per la scrittura dei pezzi. A volte capita. Purtroppo.
Sono proprio i live (si parla di circa 300 date all’anno!) e la strada a segnare le canzoni: “Ho scritto molte delle mie canzoni in sella alla mia Harley Davidson Road King” racconta in una intervista. E già ce lo immaginiamo.
Un disco caratterizzato da luoghi , viaggi e paesaggi tipicamente americani (‘Home Is Where The Highway Is’ è un testamento , ‘Texahio’), dove litri e litri di Whiskey vengono versati senza badare troppo a spese (‘Mr.Honky Tonk’ l’ha scritta vent’anni fa e racchiude un genere) dove solidi country rock elettrici (l’amore perduto di ‘Killing Me Nice And Slow’ con la chitarra del ventiduenne Lucky Chucky) e sbilenchi walzer guidati dalla pedal steel di Steve Hinson (‘You Know The Rest’) si susseguono fino ad arrivare al bel southern rock finale di ‘Shoot Out The Lights’ che viaggia di slide e dove compare l’armonica di un personaggio come Mickey Raphael (già con Willie Nelson, Waylon Jennings, Chris Stapleton). Dallas Moore incarna alla perfezione la figura del musicista solitario e anticonformista, duro e puro, all'occorrenza romantico (senza esagerare), efficace nel far proseliti senza usare effetti speciali.
Forse non diventerà mai un eroe (ma uno che fa 300 concerti all’anno una candidatura la merita) ma un posto tra i migliori dell’outlaw country di questi giorni l’ha già guadagnato da tempo.





 

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