venerdì 8 dicembre 2017

RECENSIONE: SUPERDOWNHOME (Twenty-Four Days)

SUPERDOWNHOME   Twenty-Four Days (Slang/Warner 2017)



Quando vedo le classifiche dei migliori dischi dell’anno già a fine Novembre un po' mi incazzo, non che sia così importante, i dischi non hanno scadenze, ma... Il perché ce l'ho sotto gli occhi e dentro le orecchie in questo momento, anche se per ora solo in formato digitale. Già: TWENTY- FOUR DAYS, il primo disco completo dei bresciani SUPERDOWNHOME uscirà solo il 25 Dicembre (presentazione ufficiale alla Latteria Molloy di Brescia proprio il giorno di Natale) e si preannuncia come una piccola bomba con deflagrazione lunga poco più di trenta minuti, pochi ma abbastanza per far scattare un applauso da Natale in avanti. E credo che il 2018 sarà un anno importante per loro. A inizio anno, qui siamo ancora nel 2017 però, il duo formato dagli esperti musicisti Beppe Facchetti (cassa e rullante) e Henry Sauda (chitarre, cigar box, Diddley bow e voce) si era presentato al grande pubblico con l’ep che metteva in bella mostra l’approccio al blues, tradizionale ma personale, a cui potete aggiungere un “rural” se volete seguire il suggerimento, grezzo e genuino nato sulle orme di one man band come il vecchio Seasick Steve e quel pazzo di Scott H Biram: blues ridotto all’osso nella forma, nella sostanza, nella strumentazione. In mezzo tra ep e lp (mi piace chiamarlo così, chissà se uscirà anche in versione vinile?): tanti concerti e importanti festival (Narcao, Soiano, Sound Tracks) e incontri che si trasformeranno in spontanee collaborazioni come vedremo. TWENTY-FOUR DAYS, registrato nuovamente al Bluefemme Studio insieme a Marco Franzoni e Ronnie Amighetti (affiatata squadra vincente non si cambia) mantiene fede a quell’ approccio primitivo ma aggiunge mille altre sfumature di abbellimento. Dall’assalto proto punk incendiario e rivoluzionario di ‘Kick Out The Jams’ degli Mc5, una delle tre cover presenti, le altre sono ‘Stop Breaking Down Blues’ del padre Robert Johnson e lo schiaffo al razzismo ‘Down In Mississippi’ di J.B. Lenoir (ripresa da tantissimi ma mi piace ricordare la bella versione di Mavis Staples) alle numerose sfumature dei sette brani originali che si allungano sul rock'n'roll, il folk e il country (‘Goodbye Girl’) ma quello che più stupisce è l’elevato potenziale (anche commerciale perché no?) di ogni singolo brano. Come rimanere fermi davanti al contagioso chorus di ‘Long Time Blues’, e proprio qui incontriamo il grande ospite del disco, il mastodontico chitarrista newyorchese Popa Chubby che piazza il suo cattivo assolo di chitarra (lo ritroviamo anche nella cover di Robert Johnson), davanti alla viziosa ‘Over You’, alla zztopiana ‘Disabuse Boogie', nell’oscuro incedere della più stratificata title track. Natale è vicino. Fatevi un regalo.




SUPERDOWNHOME-Superdownhome (Roam, 2017)

Un contrasto vincente! Non lasciatevi ingannare troppo dalla copertina che li ritrae seduti, elegantemente vestiti, su due poltrone Chesterfield. E non dovrete farvi ingannare nemmeno da come si presentano in concerto: esattamente così. A cambiare sono solo le poltrone vintage, sostituite da due poveri sgabelli. Dal lato blu notte esce la figura di Enrico Sauda, seduto alle prese con le sue chitarre (cigar box artigianali comprese), dal lato rosso carminio Beppe Facchetti, seduto dietro a cassa e rullante. Il minimo indispensabile. Il contrasto qual è allora? La musica. Perché proprio di sottrazione vivono le loro canzoni. I due esperti musicisti bresciani sono in giro da circa due anni sotto il nome Superdownhome, ma solo ora sembrano aver trovato la strada vincente, e ce la mostrano con questo primo ep prodotto da Marco Franzoni e Ronnie Amighetti (preludio a qualcosa di più sostanzioso, si spera) composto da cinque brani: quattro autografi e la cover di ‘Shake Your Money Maker’ di Elmore James. Sauda e Facchetti hanno trovato nel rock blues viscerale, terroso, innaffiato da buone dosi di alcol, e molto vicino a personaggi come Seasick Steve e Scott H. Biram (giustamente omaggiati durante i live), ma anche i Black Keys, il loro punto in comune. Basterebbe l’ascolto della riuscitissima ‘Can’t Sweep Away’ a fugare ogni dubbio, con il bellissimo video compreso. Enrico Sauda è un dotatissimo chitarrista dall’animo rock blues, con un alcuni dischi solisti alle spalle, attualmente in vista con la band The Scotch, ammirata recentemente in apertura a Alejandro Escovedo a Chiari; Beppe Facchetti ha un curriculum vitae lunghissimo (che potrete cercarvi nel web) per cui mi limito a citare il suo prezioso lavoro con The Union Freego e Slick Steve And The Gangsters. Two men band, a volte è meglio di one.

http://enzocurelli.blogspot.it/2017/04/recensione-superdownhome-superdownhome.html








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