mercoledì 10 maggio 2017

RECENSIONE: TAJ MAHAL & KEB' MO' (TajMo)

TAJ MAHAL & KEB’ MO’    TajMo (Concord Music, 2017)






Ieri in rete è andata in onda l’ennesima puntata di: "anche in musica i soldi possono dividere le persone". Il tutto riferito al prezzo dei biglietti del concerto dei Rolling Stones con pro e contro annessi. Passiamo oltre. Lasciamo parlare la musica. Fortunatamente in nome della musica ci si unisce anche e l’esordio di questa inedita quanto affiatata coppia di musicisti ne è la testimonianza più fresca e attuale. Un connubio cementificato dopo un tributo a Duane Allman e proseguito in questi due anni, culminato con questa raccolta di undici canzoni. “ E’ stato divertente. Questa collaborazione era nell’aria da diverso tempo, ma ora che si è compiuta sono veramente colpito. Keb’Mo’ è davvero bravo a tenere la palla in aria. È un inferno di chitarrista. Sono stupito dalle cose che è riuscito a tirare fuori”. Così Taj Mahal ha raccontato il feeling nato con il chitarrista di Los Angeles. L’alunno segue il maestro e il maestro lascia spazio all’alunno (comunque classe 1951), tanto che Keb’ Mo’ non si fa remore nel chiamare “guida” il suo esperto compagno. Comunque sia, due maestri nel loro campo. Due esperti in contaminazione. E il campo di gioco è lo stesso che Taj Mahal contribuì a svecchiare fin dal lontano esordio del 1968, allungando le radici versi tanti altri orizzonti sonori, rivestendo il blues di abiti moderni e all’avanguardia per l’epoca. Qui, nel 2017, in aggiunta: l’intreccio delle loro voci e delle chitarre. Tutto l’amore per il blues libero e contaminato che sa: essere elettrico (‘Don’t Leave Me Here’, ‘Show Knows How To Rock Me’), acustico, riprendendo quella ‘Diving Duck Blues’ di Sleepy John Estes dal debutto di Majal appunto, soul in ‘Shake In Your Arms’ con la chitarra ospite di Joe Walsh, stringere la mano al reggae nella cover degli Who ‘Squeeze Box’, bagnarsi nei mari dei Caraibi (‘Soul’), esprimere tutto l’amore per il Sud degli States (‘Don’t Lleave Me Here’), salutarci con la cover ‘Waiting On The World To change’ di John Mayer che ospita la voce di Bonnie Raitt. Il tutto senza mai perdere per strada eclettismo e freschezza. Niente di nuovo, nulla di rivoluzionario, non il disco dell’anno, ma certamente sarà il miglior disco da ascoltare in macchina durante le prossime lunghe (e corte) trasferte estive verso le mete dei vostri concerti. Pure se andrete a qualche concerto troppo costoso. Perché la musica, alla fine, ricuce e unisce tutto. Chiedere a Taj Mahal.






RECENSIONE: JOHN MELLENCAMP (featuring CARLENE CARTER)-Sad Clowns & Hillbillies (2017)
RECENSIONE:  GARLAND JEFFREYS -14 Steps To Harlem (2017)


Nessun commento:

Posta un commento