lunedì 8 maggio 2017

RECENSIONE: GARLAND JEFFREYS (14 Steps To Harlem)

GARLAND JEFFREYS    14 Steps To Harlem (Luna Park Records, 2017)





C’è chi della contaminazione ne fa una malattia, si inventa guerre puntellate sulle assi cigolanti dell’odio e della supremazia razziale, e poi c’è chi ne trae fuori bellezza e giovamento. Lasciamo i primi girare senza meta intorno al loro livore basato sull’invidia (“molta gente non è ancora pronta” dice Jeffreys) e facciamo un monumento a GARLAND JEFFREYS che dalla contaminazione (il suo sangue è di tanti colori e parla diverse lingue, la sua musica pure) si ècostruito una carriera, non sempre ai vertici del successo, ondulante tra picchi, cadute di tono e assenze prolungate, ma sicuramente degna di essere raccontata e rispettata. 14 STEPS TO HARLEM non sfugge a quello che ha sempre mostrato con la sua musica: di essere aperto a ogni suggestione musicale, a ogni genere, ad ogni luogo e ogni tempo. Da Brooklyn a Firenze dove studiò e abitò in gioventù, il passo è sempre più breve di quanto ci si aspetti. Se il disco si apre in leggerezza con un chorus pop rock quasi danzereccio (‘When You Call My Name’) dominato dai shynth che ti si stampa in testa, continua poi sulle antiche strade del blues, dell’amato reggae, del soul, del rock, della musica latina, dei linguaggi musicali più moderni del ghetto (‘Colored Boy Said’), delle classiche ballate newyorchesi. L’ambientazione è la stessa di sempre: parte dalle strade di New York , suggestiva la ballata ‘Luna Park Love Theme’ ambientata a Coney Island e che ospita Laurie Anderson al violino, e si propaga in giro verso le strade del mondo. Lo sguardo è spesso rivolto al passato. Principalmente a suo padre in ’14 Steps To Harlem’ , un onesto lavoratore che con i soldi guadagnati con tanta fatica gli permise di studiare all’università e lo introdusse alla musica,
quand’ero giovane mio padre mi introdusse nel mondo del jazz, ho visto grandi artidsti ad Harlem. Ho visto Nina Simone al Village Gates, l’ho conosciuta, suonava con Sonny Rollins”, alla sua infanzia (‘Schollyard Blues’), alla vecchia New York del 1981 che ospitava i Clash in tour mentre lui promuoveva l’acclamato ESCAPE ARTIST (‘Reggae On Broadway’) e tra gli spettatori c’era Joe Strummer . Ma anche al presente con i pensieri rivolti alla moglie (‘Venus’ potrebbe essere scritta da Van Morrison) e alle sue origini portoricane (‘Spanish Heart’). Piazza pure due cover: una carezzevole ‘Help’ dei Beatles dedicata a John Lennon, conosciuto al Record Plant e ‘Waiting For The Man’ dei Velvet Underground, un dichiarato omaggio al vecchio amico Lou Reed. “Ho incontrato Lou Reed alla mensa della Syracuse University nel 1961. Lou era al sencondo anno, Io una matricola. Nessuno ci ha presentato. Ci siamo fiutati a vicenda. Lui arrivava da Long Island io da Brooklyn”. Produce James Maddock. In questi giorni stavo cercando qualcosa di fresco che potesse sostituire gli abituali abitanti della mia autoradio. Sapete quei lunghi viaggi sulla lingua d’asfalto? 14 STEPS TO HARLEM si è guadagnato il primo posto con poca fatica!





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