giovedì 27 aprile 2017

RECENSIONE: JOHN MELLENCAMP featuring CARLENE CARTER (Sad Clowns & Hillbillies)

JOHN MELLENCAMP (featuring CARLENE CARTER)      Sad Clowns & Hillbillies (2017)






Prime luci dell’alba in autostrada, questa mattina 26 Aprile 2017, tra code, incidenti e diluvii-dicono che in questi tre giorni scenderà tutta l’acqua che di solito cade in un mese- ma con il nuovo salvifico SAD CLOWNS & HILLBILLIES a girare senza interruzioni nell’autoradio. Per tre volte consecutive. Un disco che impiega poco a scaldare e asciugare quello che trova intorno: cuore e asfalto su tutto. E posso dire di più: da alcuni anni JOHN MELLENCAMP non sbaglia un colpo, e fa piazza pulita intorno a sè. Quando scava così a fondo nelle radici americane ha veramente pochi rivali tra i colleghi coetanei. Sad Clowns & Hillbillies continua il discorso iniziato dal disco di cover TROUBLE NO MORE (2003) che toccò il culmine con NO BETTER THAN THIS (2010), ma va anche a riprendere i fili lasciati in dischi cardine della sua carriera come THE LONESOME JUBILEE (1987) e BIG DADDY (1989), soprattutto grazie alla presenza del violino di Miriam Strum che fa quello che faceva Lisa Germano. Ascoltare ‘All Night Talk Radio’ e ‘Indigo Sunset’.
Prima di questa nuova avventura musicale nata sui palchi del tour del penultimo, splendido disco PLAIN SPOKEN, Mellencamp, democratico di lungo corso, ha sentito il forte bisogno di dire la sua sulle condizioni in cui versa il suo paese “una riflessione sullo stato del nostro paese” dice a proposito della canzone ‘Easy Target’, piazzata qui a fine scaletta, ma che anticipò invece il disco e le elezioni americane in autunno. Fu un istant single, uscito un giorno prima dell’ l’insediamento di Donald Trump alla casa bianca. Mellencap canta di sucker town, di bersagli facili, delle minoranze più esposte al pericolo, di armi facili, povertà e razzismo, crea un quadro poco invitante che la mano di Trump potrebbe rovinare ancora di più con altre pennellate fuori fuoco. Sull’avvento di Donald Trump, Mellencamp raccontò: “non so davvero che cosa ha intenzione di fare o il perché dice una cosa e poi ne fa un'altra. Trump dice : ‘non abbiamo intenzione di coinvolgere Wall Street,' e tutto il suo gabinetto è Wall Street. Mi sto solo mettendo comodo per vedere le cose strane che arriveranno ".
Buona visione, aggiungo io. I risultati disastrosi sono già sotto i nostri occhi.
 "So Black Lives Matter, who we tryin’ to kid / Here’s an easy target / Don’t matter, never did / Crosses burnin’, such a long time ago / 400 years, and we still don’t let it go / Well, let the poor be damned and the easy targets, too / All are created equally, beneath you and me.” Canta Mellencamp.
E tutte le restanti canzoni del disco sono legate dallo stesso filo conduttore: la lotta. Contro noi stessi e contro quello che ci circonda. Sebbene il nome di CARLENE CARTER compaia in copertina (l'intesa artistica nacque dopo il musical  Ghost Brothers of Darkland County, scritto da Mellencamp con Stephen King), la figlia di June Carter e Carl Smith (figlioccia di Johnny Cash) duetta solamente in cinque canzoni su tredici, e tra queste c’è ‘My Soul Got A Wings’, con un testo di Woody Guthrie che Mellencamp ha musicato in salsa country gospel, perché il disco nacque per essere una raccolta di canzoni dal marcato sapore spiritual cantate in duetto. Con il tempo l’idea è stata abortita e da quelle registrazioni si sono salvati solo alcuni brani tra cui una buona ‘Damascus Road', infarcita di riferimenti biblici. Un disco molto più vario musicalmente rispetto alle ultime uscite: accanto a numeri folk come ‘What Kind Of Man Am I’, troviamo quel heartland rock alla vecchia maniera con le chitarre elettriche più marcate di ‘ Early Bird Cafe’ (brano di Lane Tietgen conosciuto nella versione di Jerryy Hahn) o di ‘Grandview’ in duetto con Martina McBride stavolta e la presenza di due ospiti come l’ex Guns N’ Roses Izzy Stradlin alla chitarra e Stan Lynch, l’ex Heartbreaker di Tom Petty, alla batteria; una ‘Sugar Hill Mountain’ che sbuffa come se fosse suonata da una big band e che non avrebbe sfigurato tra le Seeger Session di Bruce Springsteen e una magnifica ‘Sad Clowns’ che potrebbe essere uscita dall’ugola consumata dalla nicotina di un Tom Waits qualsiasi datato 1973-1978. Oltre ai già citati, ad accompagnare Mellencamp tra i tanti anche: i fidi Andy York, Troye Kinnett, Mike Wanchic e il vecchio amico Kenny Aronoff come ospite.
Chiamatelo ancora cougar, chiamatelo bastardo, additatelo come un tipo poco avvicinabile e burbero, ma quando ci si mette…

Nota a margine di un disco senza sbavature: il packaging del CD è inesistente. Una misera bustina di cartone con pochissime note (titoli e nomi dei musicisti) illeggibili sul retro e...stop. In tempi in cui si dovrebbe puntare almeno sulla qualità del supporto fisico, questo è un grande passo falso. Imperdonabile. Pollice verso. Consiglio di puntare sull'edizione in vinile.





RECENSIONE: JOHN MELLENCAMP, STEPHEN KING, T BONE BURNETT, AA.VV. -Ghost Brothers Of Darkland County (2013)

RECENSIONE: JOHN MELLENCAMP Live@Vigevano 9 Luglio 2011

 John Mellencamp – Recensione – Performs Trouble No More



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