lunedì 29 febbraio 2016

RECENSIONE: SEDDY MELLORY (Urban Cream Empire)

SEDDY MELLORY Urban Cream Empire (Kandinsky Records, 2016)




Una ventina di minuti sono già impegnati, al sicuro. Passati sopra ad un tavolo in cucina, concentrato, a cercare di riconoscere le ghigne dei tanti personaggi presenti in copertina che avanzano minacciosi e sbeffeggianti come i guerrieri della notte. Non è del tutto facile, soprattutto quando te ne mancano una manciata e strizzi la poca memoria  rimasta per arrivarci. Leggasi anche come ignoranza. Nulla. Non rimane che Google photos in tuo soccorso. Quelli in prima fila sono riconoscibili e sono pure i protagonisti di alcune canzoni: il dito medio di Johnny Cash non si vede ma si sente durante tutto il disco e rimane il gesto punk più rivoluzionario della storia. Copertina d'impatto per il terzo album della band bresciana (Blodio, Paul Mellory e Thunder Tony). Ma tutto lo è! Dentro la busta: un vinile rosso (o bianco, potete scegliere) cattura l'occhio e non aspetta altro che una puntina inizi a torturarlo, graffiandolo a sangue, e pure la versione cd schizza fuori scalpitante come una sorpresa dall'uovo di pasqua che hai appena martellato con furore assassino! Nel cd pure due bonus tracks tra cui una loro versione di 'Guns Of Brixton' di chi: voi sapete chi. Non Rimane altro che farsi travolgere dalla carica garage rock'n'roll del trio. Il dito medio di Johnny Cash ('Cheap Johnny Cash') era punk prima di te ma qui è  infilato per dare sommo piacere o piacevole dolore (che è la stessa cosa) e le  fiamme della chitarra di Ace Frehley sputano calore inebriante. Un bacio caldo e umido. I cori da stadio dell'apertura 'Get In/Get Out' te li porti dietro anche dopo aver alzato la puntina e sarebbero piaciuti al Gazza Gascoigne calciatore, genio del calcio rintracciabile tra quel gol strepitoso segnato il 15 giugno del 1996 alla Scozia in quel di Wembley e la bottiglia sempre piena che si portava e porta ancora dietro. La canzone 'Punk Rock#1 (Gazza Song)' è  tutta per lui.
A Brescia si sente il puzzo proveniente dai bidoni della spazzatura nel retro del CBGB annata 1975, si soffia ai glitter svolazzanti persi dalle migliori annate glam, si raccolgono i cocci di bottiglia fuori dal Marquee Club nelle nottate della Londra 77, si attaccano un po'di toppe dei propri idoli NWOBHM al vecchio gilet di jeans, si sente ancora il basso tuonante di Lemmy prima degli acquazzoni e si cammina con orgoglio e a testa alta tra i striptease club della Los Angeles di metà anni ottanta. Tutto chiaro? Spero di aver reso l'idea: in mezzo a questi solchi si inala solo del sano rock'n'roll. Poche menate!

I Seddy Mellory nascono a Brescia nel 2005. Discografia: Boris & Betty Vs. Black Nutria (EP, 2009), Lookin' For A Wild Pialla In The Club Copula (EP, 2010), Fake As Your Mom's Orgasm (2012), Urban Cream Empire (2016). All'attivo numerosi tour europei e aperture per Gaslight Anthem, Datsuns, Constantines, Imperial State Electric, Gogol Bordello, Quireboys. Attuale formazione: Paul Mellory (Voce, Basso), Blodio (Chitarra), Thunder Tony (Batteria).







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BRESCIA ROCK (5 band da conoscere: Slick Steve & The Gangsters, Van Cleef Continental, Thee Jones Bones, Il Sindaco, The Union Freego)


giovedì 25 febbraio 2016

RECENSIONE:BLACK SABBATH (The End)

BLACK SABBATH-The End (2016)





La fine? Io ci credo poco (incrociando le dita, visti i tempi). Certo, l’ultimo 13 si apriva con ‘l’inizio della fine’ e questo CD di otto pezzi ci trascina proprio là dove vogliono portarci. Quattro outtakes provenienti dalle prolifiche sedute di registrazione con il produttore Rick Rubin che avevano condotto, però, all’inclusione di sole otto tracce per 13 (alcune canzoni come ‘Methademic’, ‘Peace Of Mind’, e ‘Pariah’ furono inserite nelle varie limited edition di tre anni fa) più altre quattro registrate dal vivo negli ultimi tour: ‘God is Dead?’ in Australia (2013), ‘Under the Sun’ in Nuova Zelanda (2013), ‘End of the Beginning’ e ‘Age of Reason’ in Canada (2014). Sui quattro inediti c’è poco da dire. I Black Sabbath di 13 mi sono sembrati in buona forma, nonostante le ripetute, ma comprensibili, autocitazioni che non mancano nemmeno qui. Mentre ‘Season Of The Dead’ durante i suoi sette minuti gioca con i continui cambi di tempo, ‘Cry All Night’ è quella che si spinge più indietro nel tempo, concludendosi con rintocchi di campane e tuoni proprio come quando tutto ebbe inizio nel lontano 1970, ‘Take Me Home’ avanza come un pachiderma guidata dal riff duro di Iommi per poi sorprendere con una chitarra spagnoleggiante che si palesa nel mezzo, e ‘Isolated Man’ sembra molto più vicina agli ultimissimi episodi della carriera solista di Ozzy Osbourne, e la sua voce viene stravolta da effetti vari.
 Arrivati fino a qui, però, bisogna dire che THE END (il disco) lo si potrà trovare in vendita solamente durante le tappe del tour mondiale iniziato lo scorso 20 Gennaio a Omaha in Nebraska e che si concluderà il 21 Settembre a Phoenix (anche se voci raccontano di un prolungamento verso l’anno 2017. Altro che fine!), passando per la data italiana del 13 Giugno all’Arena di Verona. Dietro alla batteria siederà Tommy Clufetos, già nella band di Ozzy Osbourne. Con un po’ di ricerca lo si può scaricare tranquillamente in rete. Al prossimo inizio, quindi.



lunedì 22 febbraio 2016

G-FAST live@Il Circolino, Vercelli, 20 Febbraio 2016




Da un concerto di G-Fast si esce soddisfatti, anche se il locale è mezzo vuoto e tra i presenti c'è pure un cane a far numero, ma è tra i padroni di casa e fa poco testo. Una normale serata di metà febbraio, freddo ma non troppo: si dice che in giro ci siano ancora i carnevali e in città siano sbarcati, non si sa bene da dove, pure due importanti dj. Sarà...ma veramente il pubblico di G-Fast frequenta le discoteche e le preferisce al proprio idolo? Ho i miei dubbi e l'esecuzione di The Dj Is Dead, canzone del suo primo album DANCING WITH THE FREAKS (2011) sembra essere chiara ed esplicita su quello che Gianluca Fasteni (G-Fast è lui) pensi a proposito. Ha ragione lui. Stasera i pochi presenti si sono comunque goduti lo spettacolo itinerante che questo milanese dal sangue misto camuno, ma residente a Roma, porta in giro per l'Italia a ritmo di cento concerti l'anno. Un Medicine Show moderno e rumoroso. G-Fast è un one man band che sa come costruire uno spettacolo con poco (anche se sembra tanto): chitarre artigianali a tre e una corda (ottenuta dalla scatola che conteneva una bottiglia di Jägermeister), cigarbox, dobro, loop station, pedal board, la banjo-tromba di sua invenzione, microfoni vari, cassa e rullante, una voce profonda e graffiante e canzoni che nascono grezze dal blues di John Lee Hooker, passano dal british blues e arrivano ai nostri giorni con Seasick Steve e Rage Against The Machine come punti di riferimento. Aggiungete una marcata vena (auto)ironica e un continuo filo diretto con il pubblico e avrete tutto. Comunque tanto per una persona sola. Il secondo disco GO TO M.A.R.S. è uscito l'anno scorso e ha messo in mostra le sue influenze più pesanti (la title track) anche se non mancano alcune ballate, strategicamente piazzate per tirare il fiato. A fine concerto, l'alto numero di CD venduti (c'è perfino chi ha detto che non comprava un cd da quattro anni, ma quello di G-Fast non si poteva perdere) e i tanti attestati di stima, nonostante il numero esiguo di spettatori, sono i segni che da un suo concerto si esce sempre soddisfatti.




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RECENSIONE: SEASICK STEVE-Hubcap Music (2013)





venerdì 19 febbraio 2016

RECENSIONE: MONSTER TRUCK (Sittin' Heavy)

MONSTER TRUCK-Sittin’ Heavy (Mascot Records, 2016)





Altra interessante uscita Mascot Records, fuori il 19 Febbraio. Oggi. Dopo l' annunciata uscita dei SUPERSONIC BLUES MACHINE (26 Febbraio), ecco i canadesi MONSTER TRUCK, guidati dal frontman  Jon Harvey e dal chitarrista Jeremy Widerman. Nomem omen aggiungo fin da subito. Undici canzoni che avanzano cariche di groove, ora pesanti e massicce recuperando la migliore lezione grunge stoner degli anni novanta (l’apertura ‘Why Are You Not Rocking?’ è una dichiarazione d’intenti sparata a sangue freddo, ‘Another Man’s Shoes’, ‘The Flame’), ora più legate al southern rock di stampo Outlaws (‘For The people’), poi ad un rock’n’roll pesante e saltellante che strizza velocemente l’occhio anche al R&B (‘Things Get Better’) e a quello più selvaggio, feroce, tamburaggiante ma corale (‘The Enforcer’ è un inno di battaglia scritto appositamente per il loro sport preferito: l’hockey) con una mano sempre attenta ad intercettare le giuste melodie. Perché i Monster Truck con una mano tirano fendenti e con l’altra ti curano. Gli spettri dei BLS di Zakk Wylde fanno spesso visita. Qui non s’inventa nulla, ci si diverte.
Non mancano le boccate d’ossigeno in ballate bluesy ed elettriche (c’è pure un tastierista in formazione), che non cadono mai nello sdolcinato (‘Black Forest’, ‘Enjoy The Time’). Durante i live d’apertura a nomi importanti come Slash, Alice In Chains, ZZ Top, Rival Sons hanno dimostrato di non temere nessuno e Mike Inez (Alice In Chains) non ha risparmiato lodi pubbliche nei loro confronti. Le porte le sfonderanno con questo secondo disco. Garantito. E la copertina con la camicia di jeans di quel famoso marchio, con il rettangolino rosso, per duri e puri ma che piace a tutti, potrebbe essere anche la loro filosofia artistica, ma anche il punto debole. Vedremo.




mercoledì 17 febbraio 2016

BRESCIA ROCK (5 band da conoscere: Slick Steve & The Gangsters, Van Cleef Continental, Thee Jones Bones, Il Sindaco, The Union Freego)

Ho seguito l'amore. Sono arrivato a Brescia. Ho trovato una città piena di musica come poche. Una scena musicale viva e scalpitante: tante band, tanti artisti, tanti generi musicali, tanti locali che puntano sulla musica originale e di qualità. In più, un intreccio di collaborazioni tra gli artisti che mi ha lasciato favorevolmente colpito. Si respira rock a pieni polmoni, anche tra l'inquinamento che ha raggiunto i valori massimi. Provare per credere. A conferma di quel che ho percepito io (forse per chi ci vive non sarà così), in tarda primavera e inizio estate partono una miriade di manifestazioni e festival che coinvolgono tutta la città e provincia: dal 4/4 organizzato dalla Latteria Molloy (giudicato tra i migliori locali live d'Italia dal Mei) dove si sfida l'impossibile facendo suonare ogni anno almeno cento artisti/band (famosi e non) del posto sopra allo stesso palco nel giro di una giornata, alla festa della musica che coinvolge ogni via e ogni piazza della città. In questi mesi ho ascoltato tanti di questi artisti. Sono riuscito a scrivere qualcosa su di loro sulle riviste Classic Rock e Classix!, anche se mai come avrei voluto. Sono poche righe, di presentazione, ma spero abbastanza per incuriosirvi e spronarvi all'approfondimento. Ho raccolto tutto e ve ne presento cinque. Per ora. Tante altre potrebbero arrivare: Seddy Mellory, Plan De Fuga, Ovlov, Alessandro Sipolo, Claudia Is On The Sofa, Hell Spet, Jet Set Roger, Dead Candies, Nana Bang!, Crowsroads.


SLICK STEVE & THE GANGSTERS On Parade (Go Down Records, 2015)


 Il primo consiglio che vi lascio è: se vi capitano sotto il naso, non fateveli sfuggire dal vivo. Uno degli spettacoli musicali più completi in cui potete imbattervi in Italia. La giovane band bresciana guidata dal funambolico Stephen Hogan (un piccolo Tom Waits laureato in prestidigitazione) dimostra di non essere da meno anche  in studio, e dal cilindro di questo secondo disco esce tutto l’amore per il vecchio rockabilly ’50, il blues, il country e i personaggi meno convenzionali e più bizzarri. Da Classix!





VAN CLEEF CONTINENTAL  Unda Maris (GODDESS RECORDS, 2015)

 

Mare salato
L’ultima onda è di quelle devastanti, con la forza di spazzare via tutto. I bresciani incidono il secondo album (il primo RED SISTERS nel 2008, in mezzo: l’ancora fresco EP) nell’apnea di un trip circolare, diretto e senza fronzoli dove i primordiali Black Sabbath e lo Stoner ’90 trovano spesso la via delle divagazioni lisergiche. Ma mentre esce il disco e la formazione si stabilizza intorno ad Andrea Van Cleef, Helgast, Giorgio Fnool e Lady Cortez , un altro cerchio si chiude:  la band, a sorpresa, ci saluta. Avete tempo fino a Novembre (2015, tempo scaduto!) per vederli dal vivo. Le onde, purtroppo, vanno e vengono… Enzo Curelli 8 da Classic Rock







THEE JONES BONES  Cheers!  (AUTOPRODUZIONE, 2015)

Se l’Italia fosse il paese rock che non è, la band bresciana, attiva da più di un decennio, tirerebbe le fila del movimento. Dei cavalli di razza, quelli vecchi e affidabili che non faresti mai abbattere: puro rock’n’roll come se gli Stones ’70 avessero in mano un biglietto di sola andata per gli States. Tutto buono e vintage a partire dalla confezione.  Da Classic Rock








IL SINDACO Come I Cani Davanti Al Mare (LAVORARE STANCA/AUDIOGLOBE, 2015)

Dopo le prime note di Maciste, pare che nel secondo disco de Il Sindaco (il bresciano Fabio Dondelli) si nasconda un omaggio a Lucio Dalla. C’è molto altro. E’ l’unione tra il cantautorato italiano a cui Dondelli lima gli spigoli in favore di semplicità e fervore pop, e il roots americano: tra desert folk e country. Ad accompagnarlo i vecchi amici Annie Hall.  Da Classic Rock








THE UNION FREEGO  In Null Komma Nichts (2015)

Non ho mai capito come funzioni il marketing discografico. Oddio, un'idea ce l'avrei pure, ma...non importa. Mi interessa, invece, capire perché questo disco non stia girando come dovrebbe tra gli appassionati di musica. Buona musica. Non so se per pigrizia, modestia o falsa modestia degli autori, ma sto riscontrando l'assenza della dovuta pubblicità. Oppure la colpa è semplicemente di noi che stiamo intorno e non cogliamo qualche messaggio nascosto, ma...nuovamente, non importa. Per cui mi prendo le mie responsabilità e faccio lo sporco lavoro (comunque bellissimo): se amate il classic rock americano, quello che nasce dal vecchio folk più oscuro e sporco, incontra prima Bob Dylan sulla propria strada, la parte visionaria e psichedelica di fine sessanta, poi la west coast californiana e più malata dei '70 e la vecchia old black di Neil Young che allunga sulle curve a gomito, sfiora il Paisley underground degli anni ottanta, l'alt country recente di Uncle Tupelo e Wilco, quello più recente ancora di Okkervil River e Decemberists e finisce la sua corsa alzando la polvere dei dei deserti dell'Arizona (Calexico, Giant Sand) e anche po' più a sud, cercate il secondo disco della band bresciana [continua a leggere]








lunedì 15 febbraio 2016

RECENSIONE: DRIVE-BY TRUCKERS (It's Great To Be Alive!)

DRIVE-BY TRUCKERS  It’s Great To Be Alive!  (ATO RECORDS, 2015)





Il rock è morto? Ascoltate qui…
Scrivo queste righe mentre i Coldplay rilasciano l’ennesimo proclama che puzza di promozione: “il rock è morto, il futuro della musica è nei nuovi suoni” sentenziano Chris Martin e soci. A chi volete credere? A loro o alla southern band di Athens guidata da Patterson Hood e Mike Cooley che quei nuovi suoni non sa nemmeno cosa siano? La domanda è retorica. Ma se avete ancora dei dubbi, le 35 canzoni di questo triplo disco registrato durante tre serate al Fillmore di San Francisco (cose veramente d’altri tempi) li fugheranno a suon di chitarre sferraglianti che scorticano e si allungano toccando il culmine nei tredici epici minuti finali di Grand Canyon, nel fumoso e veloce honk tonk Get Downtown o nei rallentamenti country di Angels And Fuselage.
Difficile estrapolare più canzoni, qui si acquista tutto in blocco.
Dopo vent'anni di onorata carriera e il prestigioso merito di aver tenuto alto il vessillo di un certo modo di suonare e vivere il rock tutto americano, impreziosito da liriche amare ed ironiche sempre al di sopra della media (degli affreschi gotici delle terre del sud), sono una band viva da tenere stretta e usare quando qualcuno spara sentenze fuorvianti. Capito mister Martin? Enzo Curelli 8 da Classic Rock # 39 (Febbraio 2016)




RECENSIONE: PETER CASE-HWY 62 (2015)
RECENSIONE: LUCINDA WILLIAMS-The Ghosts Of Highway 20 (2016)

martedì 9 febbraio 2016

RECENSIONE: NATHANIEL RATELIFF & THE NIGHT SWEATS (Nathaniel Rateliff & The Night Sweats)

NATHANIEL RATELIFF & THE NIGHT SWEATS Nathaniel Rateliff & The Night Sweats (Stax/Universal, 2015)




Nuovo inizio
Nella vita si cambia per non morire. Rateliff era destinato a soccombere sotto un canonico suono folk rock inflazionatissimo, quello su cui erano costruiti i suoi tre precedenti dischi solisti. Tutto questo fino all’incontro con una masnada di sette brutti ceffi (i Night Sweats) che, a suon di ipervitaminico R&B e southern soul con una sezione fiati che fa la differenza, hanno estrapolato il suo vero punto di forza: una voce baritonale che ama mettersi in competizione con quella dei migliori esponenti del genere. Anche se la partita è persa in partenza Rateliff sa scrivere canzoni, esaltare e far muovere le gambe: il crescendo di ‘S.O.B.’ (sì, proprio Son Of A Bitch) è sconsigliato con un volante tra le mani. Ho già provato io per voi. Prendete un po’ di Otis Redding , Wilson Pickett e di Sam Cooke, mischiatelo ad un’attitudine garage rock e avrete le vivaci, arrembanti e genuine canzoni di questo nuovo inizio. La rinata Stax, infine, ci mette il sigillo di qualità.




vedi anche
RECENSIONE: PETER CASE-HWY 62 (2015)
RECENSIONE: LUCINDA WILLIAMS-The Ghosts Of Highway 20 (2016)


giovedì 4 febbraio 2016

REC ENSIONE: BILLY GIBBONS AND THE BFG'S (Perfectamundo)

BILLY GIBBONS AND THE BFG'S   Perfectamundo (Concord Records, 2015)





Sasso, carta o forbici?
Quando con l’avvento degli anni ottanta gli ZZ Top iniziarono ad abusare di synth, qualcuno, per dispetto, avrebbe preso volentieri in mano le forbici e puntato dritto verso qualche barba. Anno 2015: le lunghe barbe sono ancora al loro posto e il primo album solista di Gibbons (chitarra e voce della blues band texana), conferma quanto quegli esperimenti durati un buon decennio non furono tutta casualità e furbizia commerciale ma anche sperimentazione e tanto divertimento. Un menù micidiale, coraggioso e divertente è anche quello servito per questa prima uscita solitaria dopo quarantacinque anni di carriera. Accanto all’inconfondibile chitarra, una varietà infinità di portate: dall’amore, nato in gioventù e sbocciato dopo la recente partecipazione all’Havana Jazz Festival, per i suoni afro-cubani (presenti ovunque) al latin rock, dall’hip hop alla presenza del vocoder, in verità fastidioso e unico punto negativo. A Baby Please Don’t Go di Lightnin’ Hopkins, comunque stravolta, e Treat Her Right di Roy Head il compito di tenere lontane quelle famose forbici. Enzo Curelli 7 da Classic Rock # 38