domenica 31 luglio 2016

THE WHITE BUFFALO live @ Arena Sonica, Brescia, 30 Luglio 2016












Jake Smith e i suoi due compari, il simpaticissimo Christopher Hoffee e il martellatore Matt Lynott (insieme: un trio basso, batteria, chitarra/voce con pochi fronzoli e diretto come un treno senza ostacoli sulle rotaie del vecchio west, a volte fin troppo pestone quando non necessario, quasi a voler nascondere con la forza bruta un repertorio non troppo vario, ma comunque su disco più ricercato e sfaccettato, che con questa formula viene penalizzato ulteriormente) dopo aver seminato polvere come veri bufali da prateria tra le strade blu che da Modigliana portano a Trieste, entrano in Arena (Sonica) e domano anche il numerosissimo pubblico di Brescia. Un pubblico eterogeneo come giusto sia in una manifestazione gratuita: c’erano i vecchi fan di Americana, i curiosi e i biker di Sons Of Anarchy. Alla fine tutti contenti e catturati. Dopo averci scalciato gli stinchi a destra e sinistra con i piedi rigorosissimamente scalzi, accarezzato l’anima e percosso la chitarra acustica con le grosse mani durante la prima parte di concerto, nella seconda metà il bufalo bianco si è trasformato in lupo, ha iniziato ad ululare, piazzando le migliori unghiate della serata, compresa una ‘Highwayman' rubata ai padri putativi e cantata in solitaria. Una prima italiana che lascia dietro di sé tante cose positive e pure qualche falla facilmente rimediabile vista la bravura indiscutibile del personaggio.





SETLIST
  1. Dark Days
  2. When I'm Gone 
  3. One Lone Night 
  4. Every Night Every Day
  5. I Got You
  6. Chico
  7. Oh Darlin' What Have I Done
  8. Love Song #1 
  9. Come Join the Murder 
  10. Don't You Want It
  11. BB Guns and Dirtbikes 
  12. Into the Sun
  13. Home Is in Your Arms
  14. Joey White
  15. This Year
  16. Joe and Jolene
  17. Go the Distance
  18. The Whistler
  19. Damned
  20. The Pilot
  21. Highwayman (Jake solo) 
  22. Modern Times
  23. How the West Was Won
RECENSIONI:
THE WHITE BUFFALO-Love And The Death Of Damnation (2015)
THE WHITE BUFFALO-Once Upon The Time In The West (2012)
THE WHITE BUFFALO-Shadows, Greys & Evil Ways (2013)
THE WHITE BUFFALO: tre date in Italia


venerdì 29 luglio 2016

RECENSIONE: SHAWN JAMES (On The Shoulders Of Giants)

SHAWN JAMES  On The Shoulders of Giants (autoproduzione, 2016)




Quando SHAWN JAMES, classe 1986, non ruggisce in compagnia della sua band, i SHAPE SHIFTERS (un concentrato di heavy blues, gotica Americana e campestre bluegrass ben impresso nel loro THE GOSPEL ACCORDING TO SHAWN JAMES AND THE SHAPESHIFTER uscito l’anno scorso), ulula in solitaria inseguendo i suoi miti musicali che si chiamano Howlin’ Wolf, Robert Johnson e Otis Redding, mica tre nomi da poco, e ripetendo le lezioni imparate nei cori gospel delle chiese frequentate in giovane età nella periferia Sud di Chicago dove abitava prima del trasferimento in Arkansas. Registrato nei mitici Sun Studio di Memphis, un sogno per chiunque, con la supervisione di due pezzi da novanta come gli ingegneri del suono Curry Weber (North Mississippi Allstars, Gin Blossoms, Huey Lewis & The News) e Kevin Nix (Stevie Ray Vaughan, Bobby Rush), questo suo primo disco solista colpisce nel segno facendo uso di veramente poco. Quel poco (in verità tanto e tratto vincente) è la sua voce profonda, baritonale, al limite del growl in certi punti, che guida oscuri, lenti e grezzi folk blues costruiti con chitarra (Resonator), tamburello, battiti di piedi e poco altro, proprio come quando si esibisce come one man band. Un disco di blues tenebroso che mi ha ricordato, in alcune canzoni delle nove presenti, il primo Danzig solista spogliato dei vestiti hard. Un disco che suona bene più a notte fonda, immerso nella buia quiete, che di giorno illuminato dalla luce. Ne sentiremo parlare.



RECENSIONE: ZAKK WYLDE-Book Of Shadows II (2016)
RECENSIONE: HAYES CARLL-Lovers And leavers (2016)
RECENSIONE: STURGILL SIMPSON-A Sailor’s Guide To Earth (2016)
RECENSIONE: MALCOLM HOLCOMBE-Another Black Hole (2016)
RECENSIONE: JOHN DOE-The Westerner (2016)

martedì 26 luglio 2016

DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 16: NEIL YOUNG (Time Fades Away)

NEIL YOUNG   Time Fades Away (1973)


TIME FADES AWAY fu il primo vinile di Neil Young che acquistai. Il negozio aveva solo quello, la scelta fu obbligata. Lo ascoltai tantissimo subito, tanto dopo, spesso oggi, e l’affetto che provo per questa copertina (foto scattata a Philadelphia nel 1973 da Joel Bernstein) è immenso: per quella rosa rossa depositata a bordo palco, per il retro con quel gigantesco truck lanciato a fari accesi nella notte. Ma poi ci sono le canzoni: il galoppante e sgangherato honky tonk boogie di ‘Time Fades Away’, il pianoforte solitario, malato e notturno di ‘Journey Through The Past’, ‘The Bridge’, ‘Love In Mind’, ‘Yonder Stands The Sinner’,’ L.A.’, l’autobiografica forza di ‘Don’t Be Denied’, l’infinito finale elettrico di ‘Last Dance’. Strano inizio per approcciarsi al mondo di Young. Questo disco arrivò dopo l’incredibile successo di HARVEST, ma fece crollare tutti i castelli di carte di chi aveva apprezzato ‘Heart Of Gold’ e figlie, dando il benvenuto all’interno del baratro “oscuro” dentro cui sprofondò Neil Young per almeno un paio di anni ma che ispirò altri due capolavori incredibili come TONIGHT’S THE NIGHT e ON THE BEACH. Registrato durante diverse date di un tour del 1973 insieme agli Stray Gators (Tim Drummond, Johnny Barbata, Jack Nitzsche, Ben Keith) con la partecipazione di David Crosby e Graham Nash come sporadici special guest, inaugurò un nuovo modo di fare dischi per il canadese: presentare e registrare inediti, anche in modo approssimativo, durante i tour e farli uscire come “nuove uscite” con la disapprovazione dei fan che si aspettavano altro nelle setlist, lo stesso procedimento che generò-toccando il culmine-RUST NEVER SLEEPS.
La rivista Rolling Stone nella persona di Bud Scoppa, però, concluse la recensione con queste parole: “se anche non sarà un successo, l’album rimane un illuminante autoritratto di un uomo comunque affascinante”. “Nel 1973 feci un tour intitolato Time Fades Away. Era il mio primo tour negli stadi coperti e nei palasport e fui costretto a cantare molto forte (senza gli odierni monitor da palco) per riuscire a sentirmi sul palco. Danneggiai la mia gola e si svilupparono dei noduli sulle corde vocali che mi resero un po’ doloroso cantare, e quasi impossibile farlo piano e controllando la voce.” Scrive Young nell’autobiogafia ‘Special Deluxe’.
Ma, soprattutto, fu la prima testimonianza di un periodo di malessere e nervosismo generato dai tristi eventi della vita: la nascita del figlio Zeke con forti handicap e la morte per overdose dell’amico e musicista (nei Crazy Horse) Danny Whitten, immediatamente dopo che lo stesso Young lo cacciò in malo modo dalla band per le sue continue e reiterate cadute in alcol e droghe. Un rimorso che Neil Young si porterà dietro per tutta la vita e che ha sintetizzato così nell’ autobiografia ‘Il Sogno Di Un Hippie': “All’epoca pensavo che Danny fosse un grande chitarrista e cantante. Ma non avevo idea di quanto fosse grande. Ero troppo pieno di me per capirlo. Oggi lo capisco chiaramente. Vorrei tanto poter fare tutto di nuovo, così ci sarebbero più cose di Danny”. Intanto "l’ultima danza"continua a girare...



DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 1: FRANCESCO DE GREGORI- Titanic (1982)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #2: THE HOUSEMARTINS-London 0 Hull 4
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #3: THE NOTTING HILLBILLIES-Missing...Presumed Having A Good Time
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #4: EDDIE HINTON-Very Extremely Dangerous (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #5: BIG COUNTRY-Steeltown, 1984
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #6: TESLA-Five Man Acoustical Jam, 1990
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 7: PRIDE & GLORY-Pride & Glory (1994)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #10: IZZY STRADLIN & THE JU JU HOUNDS (1992)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #11: WARRIOR SOUL-Drugs, God And The New Republic (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #12: IAN HUNTER-Short Black N' Sides (1981)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 13: THE DICTATORS-Go Girl Crazy! (1975)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 14: POINT BLANK-Second Season (1977)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #15: TEMPLE OF THE DOG (1991)


venerdì 22 luglio 2016

DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 15 : TEMPLE OF THE DOG

TEMPLE OF THE DOG (1991)

La notizia musicale della settimana? Il primo tour in assoluto dei Temple Of The Dog, il prossimo autunno in America, a venticinque anni dall'uscita di questo disco che ha segnato una generazione. Mi sento chiamato in causa. La notizia musicale dell'anno? Ha un punto interrogativo alla fine: passeranno in Italia? Una cosa è sicura: almeno due volte all’anno devo ascoltarlo. Un disco che prese piede in modo spontaneo dalle due canzoni che Chris Cornell scrisse dopo la scomparsa-eroina assassina- di Andrew Wood, cantante dei Mother Love Bone. Due canzoni lontanissime dallo stile dei Soundgarden: ‘Reach Down’ e ‘Say Hello To Heaven’ (“dicendo Heaven mi riferisco semplicemente a ciò che c’è dopo la morte terrena; non ho nessuna concezione particolare, nessuna idea precisa di cosa possa esserci di là. Solo Andy può sapere dove si trova ora” disse Cornell). “Presi contatto con Chris e lui mi dette un nastro, che mi mandò fuori di cervello. All’inizio pensai che avrebbe potuto farle uscire anche così com’erano, e sarebbero state comunque eccezionali; le due versioni di ‘Reach Down’ e ‘Say Hello To Heaven’ , in effetti, non sono poi molto diverse da quelle che finirono su disco. Insomma, Chris aveva pronte queste canzoni, e Stone Gossard ne aveva un paio delle proprie, le mettemmo giù in cinque o sei giorni: eravamo a terra, e quei ragazzi ci tirarono su per un minuto e ci aiutarono. Era pura musica, nient’altro che pura musica” Jeff Ament Il disco venne registrato in soli quindici giorni ai London Bridge Studios di Seattle con il produttore Rick Parasher nel 1990.
A Chris Cornell (soundgarden), Jeff Ament e Stone Gossard che finita la parentesi con i Mother Love Bone stavano mettendo in piedi un nuovo progetto che sboccerà nei futuri Pearl Jam, si unirono anche il batterista dei Soundgarden, Matt Cameron, ma anche Mike McReady e l’ancora poco conosciuto Eddie Vedder che lascia il segno in 'Hunger Strike' ("era la prima volta che mi ascoltavo in un vero disco. Potrebbe essere una delle canzoni preferite o più significative tra quelle che ho registrato nella mia vita"). Questi ultimi entreranno nella nuova band Pearl Jam. Un disco completamente fuori dal tempo (anche se i seventies sono i padri naturali) e una recensione che tirava in ballo Crosby, Stills & Nash fu fatale, e che a venticinque anni dalla sua uscita rimane uno dei manifesti più puri e spontanei di quella generazione. Tra i miei dischi dei 90 occupa un posto speciale.



DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 1: FRANCESCO DE GREGORI- Titanic (1982)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #2: THE HOUSEMARTINS-London 0 Hull 4
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #3: THE NOTTING HILLBILLIES-Missing...Presumed Having A Good Time
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #4: EDDIE HINTON-Very Extremely Dangerous (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #5: BIG COUNTRY-Steeltown, 1984
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #6: TESLA-Five Man Acoustical Jam, 1990
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 7: PRIDE & GLORY-Pride & Glory (1994)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #10: IZZY STRADLIN & THE JU JU HOUNDS (1992)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #11: WARRIOR SOUL-Drugs, God And The New Republic (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #12: IAN HUNTER-Short Black N' Sides (1981)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 13: THE DICTATORS-Go Girl Crazy! (1975)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 14: POINT BLANK-Second Season (1977)

lunedì 18 luglio 2016

DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 14 : POINT BLANK (Second Season)

POINT BLANK  Second Season (1977)




Sono uno di quelli che: spesso arriva prima la copertina della musica. Centro! Cappelli, barbe, jeans e stivali a riposo con tanto di amaca, prato e alberi verdi. I Point Blank sono texani e quando escono con SECOND SEASON, il southern rock sembra aver già dato il meglio di sé, e quel titolo sembra annunciare veramente una seconda stagione a venire. Lontana? Vicina? Il 1977 è un anno a lutto per il genere e la musica tutta (no, non sto parlando dell’avvento del punk, naturalmente), ma la band capitanata dal gigante Jack O’Daniel alla voce, dai chitarristi Rusty Burns e Kim Davis, dal piccolo bassista Philip Petty e il batterista Peter Gruen, sa quello che vuole. Il primo album, uscito un anno prima, prendeva la mira ma non centrava ancora il bersaglio, confuso dentro un boogie blues troppo alla ZZ Top (buoni compagni di tour tra l’altro). Su SECOND SEASON lasciano a casa il tastierista e la loro personale rilettura del blues inizia fin dalle prime battute di ‘Part Time Lover’ e ‘Back In The Alley’, dove l’armonica di O’ Daniel la fa da padrona. Nella lunga (otto minuti) e arpeggiata ballata ‘Stars And Scars' sono le due chitarre elettriche a prendersi la scena nell’infinito finale jammato. ‘Rock And Roll Hideway’ è la perfetta canzone per la strada: due, quattro ruote o autosop non fa differenza. ’ Beautiful Loser’ è una cover rubata al repertorio di quel Bob Seger che proprio in quegli anni sta vivendo la sua stagione d’oro. Il finale sembra un altro disco. I toni si alzano e le chitarre elettriche iniziano a fumare più di quel fucile che spesso li rappresenta. ‘Uncle Ned’ alza i toni, il blues si fa hard e la distanza da Free e Led Zeppelin si assottiglia.
Il rutilante finale è quasi cosa da NWOBHM. ‘Tattooed Lady’ anticipa l’intera carriera dei Molly Hatchet, ‘Nasty Notions’ va giù ancora duro. Alla sognante ballata ‘Waiting For A Change’ il compito di chiudere con un forte soffio sulle canne fumanti del fucile. Poi arriveranno gli anni ’80, il suono che vira verso l’AOR di maniera e le tastiere ricompaiono, la polvere sudista scompare e lo scioglimento è alle porte. La reunion negli anni 2000. Intanto anche la falce, come in mano ad un contadino troppo frettoloso, si porta via il minuto Philip Petty e il chitarrista Kim Davis. Ai soli O’Daniel e Rusty Burns il compito di portare ancora avanti il nome. L’ultimo disco uscito è VOLUME 9 del 2014 e tenta di ripercorre musicalmente i primi tempi. Riuscindoci pure discretamente.



DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 1: FRANCESCO DE GREGORI- Titanic (1982)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #2: THE HOUSEMARTINS-London 0 Hull 4
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #3: THE NOTTING HILLBILLIES-Missing...Presumed Having A Good Time
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #4: EDDIE HINTON-Very Extremely Dangerous (1978)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #5: BIG COUNTRY-Steeltown, 1984
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #6: TESLA-Five Man Acoustical Jam, 1990
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 7: PRIDE & GLORY-Pride & Glory (1994)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #10: IZZY STRADLIN & THE JU JU HOUNDS (1992)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #11: WARRIOR SOUL-Drugs, God And The New Republic (1991)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #12: IAN HUNTER-Short Black N' Sides (1981)
DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA # 13: THE DICTATORS-Go Girl Crazy! (1975)




venerdì 15 luglio 2016

DANIELE TENCA : INTERVISTA e nuovo album Love Is The Only Law

Uno dei più grandi pregi del cantautore milanese è riuscire ad unire l’America musicale del blues, del blue collar e dei folksinger con il suo vissuto personale, la quotidianità. Dopo un disco di denuncia dedicato al mondo del lavoro (‘Blues For The Working Class’), dopo l’impegno civile del precedente ‘Wake Up Nation’, cerca di esplorare maggiormente dentro se stesso e a un sentimento sempre difficile da inquadrare. Alla title track ‘Love Is The Only Law’ il compito di iniziare e chiudere questo nuovo percorso: “è una canzone (e un disco) sull'inevitabilità dell'Amore nelle nostre vite, che non sempre è un sentimento positivo. Le due anime della canzone rappresentano l'innocenza (acustica) e la consapevolezza (elettrica) con cui si affronta l'Amore nelle varie fasi della vita, tra fallimenti e rinascite”. La musica segue di pari passo: i volumi vengono abbassati e le ballate dai toni ombrosi e rarefatti dominano, interrotte da improvvise pennate elettriche “è nato dall'esigenza di raccontare forse prima a me stesso e poi agli altri che cosa ho imparato da alcune vicende personali, guardandomi quasi da fuori con la sincerità e la lucidità massima possibile. A livello sonoro, l'idea è stata quella di far incontrare il blues con un certo tipo di "americana", dato che di rumore coi dischi precedenti ne avevamo fatto già un pochino”. Anche il minutaggio è quello dei vecchi dischi di una volta “è un caso, anche se la voglia di farne un vinile fa capolino. Il minutaggio è figlio del fatto che ho voluto privilegiare l'essenzialità per dare evidenza massima a quello che volevo dire nelle canzoni, senza preoccuparmi della lunghezza. In generale, la musica "un tanto al chilo", con dischi che devono essere per forza lunghi un tot, non mi ha mai interessato più di tanto. Se qualcuno sentisse la mancanza di qualche assolo in più o coda strumentale in più, il mio consiglio è di venirci a sentire dal vivo!”.
Un grande aiuto in produzione, ma non solo, è arrivato dal bluesmam americano Guy Davis, produttore del disco insieme allo stesso Tenca e a Antonio Cupertino. Una collaborazione che ha lasciato buoni segni, sia umani che artistici “a livello umano, la grande passione e sensibilità con cui si è messo a disposizione del progetto dimostrandomi una stima che mi rende fiero, a livello artistico la capacità di usare la voce come strumento ritmico oltre che melodico, cosa che dà ancora maggiore potenza espressiva e che terrò bene a mente da qui in avanti, nel cantare e nello scrivere canzoni.” Da segnalare, infine, l’uscita per l’etichetta Route 61 di Ermanno Labianca, un progetto che sta andando avanti brillantemente con quell’antica passione artigianale che pare fuori dal tempo e che Tenca descrive bene in due sole parole: “passione e competenza. Ecco le due parole. Il fatto di avere al mio fianco Ermanno Labianca e tutta la Route 61 dà ulteriore credibilità al progetto e la sicurezza di poter lavorare con persone che credono nella musica e in me con una sensibilità che va oltre il fare bene il proprio lavoro”. (Enzo Curelli) da CLASSIX! #47 (Maggio/Giugno 2016)



  vedi anche
RECENSIONE: DANIELE TENCA-Blues For The Working Class/Live For The Working Class (2010/2012)
RECENSIONE: DANIELE TENCA-Wake Up Nation (2013)
 
 

martedì 5 luglio 2016

EUGENIO FINARDI live@ReLoad Festival, Biella, 3 Luglio 2016 e SUGO (1976)


EUGENIO FINARDI  Sugo (Cramps Records,1976)

Quale migliore occasione per riascoltare SUGO. Eugenio Finardi è in giro per l’Italia con un tour chiamato “40 anni di Musica Ribelle: 1976-2016”. Ieri sera sono stato colpito e affondato dalla classica nostalgia degli anni mai vissuti (anche se c’ero già), esattamente quando ha introdotto l’esecuzione per intero (“tranquilli, una volta i dischi duravano poco” ci avverte) del suo secondo album esattamente come fu registrato, grazie al ritrovamento di vecchi nastri dell’epoca che ha permesso ai suoi musicisti di approfondire lo studio sugli arrangiamenti originali. Finardi ha parlato dell’etichetta Cramps di Gianni Sassi, degli straordinari musicisti coinvolti nella registrazione di quel disco (Lucio Fabbri, Walter Calloni, Ares Tavolazzi, Lucio Bardi, Claudio Pascoli, Patrizio Fariselli, Alberto Camerini, Luca Francescani), della particolare atmosfera che si respirava in quegli anni, di come fu registrato: in due settimane, senza un piano stabilito, in assoluta libertà e con tanta voglia di jammare in studio.
Dal vivo l’ha eseguito al contrario, perché diversamente da un vinile, come ha spiegato, sopra ad un palco si deve iniziare piano (‘La Paura Del Domani’) e concludere con il botto (‘Musica Ribelle’). E così è stato. Anche se il bis dedicato al blues con l’esecuzione di ‘Hoochie Coochie Man’ ci dimostra quante carte potrebbe giocarsi in altri campi da gioco. “ Ora vi faccio un regalo io, perchè prima di essere un cantautore, sono un bluesman”. Pensare che ANIMA BLUES del 2005 è rimasto un progetto isolato non mi va giù. Vorrei una replica.
Se l'esordio NON GETTATE ALCUN OGGETTO DAL FINESTRINO destabilizzò il mondo musicale italiano, la seconda prova uscita solo un anno dopo, rafforza e consolida Finardi come una delle migliori promesse del rock italiano in grado di coniugare alla perfezione il cantautorato tradizionale con il rock anglosassone (per un italo americano è la perfezione!), e quel titolo, Sugo, fu proprio scelto per questa ragione: canzoni che abbracciavano più stili musicali, dal rock al country, il reggae, il rock progressivo, il jazz e pure qualcos’altro. “Il mio album Sugo e soprattutto Diesel su etichetta Cramps sono album di assoluta Fusion in cui lavoro con il mio gruppo e con parte degli Area” scrive nell’autobiografia Spostare L’Orrizonte. Ma è uno sguardo senza barriere davanti sulla forte confusione politica di quegli anni, sul terrore che serpeggiava nelle strade, sui cambiamenti sociali, sulla ribellione e le utopie che finirono per sfociare anche durante i concerti musicali. Il concerto al Parco Lambro fu uno spartiacque e si svolse proprio nel 1976. Forte dell'esperienza live del 1975, aprendo i concerti di Fabrizio De Andrè che appariva per la prima volta in pubblico-l’anarchico e il comunista si diceva-, iniziano ad affiorare le prime canzoni che diverranno dei classici da portarsi dietro per tutta la carriera . Gli amici Area aiutano in fase di composizione e si sente: ascoltare ‘Quasar’ per capire. ‘La Musica Ribelle’, con un mandolino elettrico al posto della chitarra, apre il disco con un messaggio teso e pesante, che sfiora l’immaginario punk, ma che si nasconde dietro alla spensierata ricerca del proprio futuro in età adolescenziale: un invito ad usare la musica come un fucile e un successo che piomba del tutto inaspettato diventando un inno di contestazione giovanile : “anna ha 18 anni e si sente tanto sola, ha la faccia triste e non dice una parola, tanto è sicura che nessuno la capirebbe e anche se capisse di certo la tradirebbe “. “Subito dopo aver fatto ‘Musica Ribelle’ io divento Eugenio Finardi” dirà. Ancora musica protagonista: quella che usciva dalle radio libere di quegli anni. Nei primissimi anni settanta, Finardi fu tra i primi dj a trasmettere certe canzoni (il reggae di Bob Marley, ad esempio, che sarà la base su cui poggerà la stesura di ‘C.I.A. cantata con il suo perfetto inglese). Fu invitato a scrivere un piccolo jingle per Radio Popolare: scrisse ‘La Radio’. Una divertente western song che in breve tempo diventò la sigla ufficiale di tutte le radio libere e...un altro successo. E poi ancora il consumismo trattato in ‘Soldi’ e la vita "on the road" del musicista raccontata in ‘Sulla Strada’. L’invito a inseguire i valori più semplici della vita che traspare da ‘Oggi Ho Imparato A Volare’ (...sembra strano ma è vero, c'ho pensato e mi son sentito sollevare come da uno strano capogiro il cuore mi si è quasi fermato e ho avuto paura e sono caduto ma per fortuna mi sono rialzato e ho riprovato...). C’è la sognante ‘Voglio’ (“probabilmente la canzone più bella, quella che preferisco”). Il disco si chiude con ‘La paura Del Domani’, un invito ad unire le forze per cambiare il futuro. Fondamentale.