giovedì 18 giugno 2015

DISCHI DA ISOLA AFFOLLATA #1: FRANCESCO DE GREGORI (Titanic)

FRANCESCO DE GREGORI Titanic (RCA, 1982)


Questo è stato il disco delle mie estati per molti anni. Lo registrai sul lato A di una vecchia cassetta da 90, compresi i fruscii e i tonfi della puntina mentre s’adagiava (bruscamente) e si alzava dal disco, nel lato B ricordo una compilation di vecchi successi country tra cui Tom Dooley (chissà in quale versione?) e On The Road Again di Willie Nelson. Avevo undici anni, e lo scovai dalla raccolta di vinili di mio zio in Friuli, in mezzo a tanta altra bella roba. Pomeriggi estivi passati a contemplare quel povero e “freddo” frigo in copertina, con metà merluzzo e metà limone già spremuto per bene che sembravano abbandonati da giorni, magari da qualcuno partito per le vacanze estive come me. Quella foto, in verità scattata una mattina dallo stesso De Gregori nella sua cucina, riusciva a darmi quella sensazione di refrigerio necessaria per combattere la calura estiva della campagna friulana, mentre con il passare dei giorni si trasformava, trasmettendo sempre più malinconia, toccando il culmine durante le ultime ore di vacanza, quelle che precedevano la ripartenza verso il Piemonte.
Ho imparato il testo di Titanic come una filastrocca. Mi ha seguito per tutta la vita. Se davanti ad un falò in spiaggia mi chiedete una canzone da cantare, statene certi, io partirò con ”la prima classe costa mille lire…la seconda cento…la terza dolore e spavento…”. Le filastrocche imparate a scuola le ho dimenticate tutte al suono della campanella. Titanic no, non l’ho imparata a scuola. L’ho amata.
Ho cercato di immaginare il volto sotto a quei Belli Capelli, ancora adesso non so come sia. Ho cercato di immaginare il mio futuro in “quella palla di cannone accesa"  ma non l’ho ancora raggiunto. Forse mai lo farò. Ho vestito quella maglia numero sette, ma ho avuto paura di tirare quel maledetto e fottuto rigore. Ho fatto partire i miei sogni di rock’n’roll con Rollo & His Jets. Quelli continuano ancora…


 
 

1 commento:

  1. ho paura a chiamarla solo recensione...diciamo così: racconto stupendo, si sente dentro quello che dovrebbe essere la musica: emozione e la madeleine di Proust

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