sabato 20 dicembre 2014

RECENSIONE: JOHNNY WINTER (Step Back)

JOHNNY WINTER Step Back (Megaforce Records, 2014)



L’ultimo blues da piangere
Mollerai mai, un giorno, Johnny? “Non credo. A meno che non sia in grado fisicamente, andrò avanti a suonare”. A rileggere questa risposta, estrapolata dall’ultima intervista concessa a Classic Rock (numero 20), corre un brivido lungo la schiena. Un solo mese dopo, nella notte del 16 Luglio 2014, venne trovato morto nella sua stanza di hotel a Zurigo. Winter ha mantenuto quella promessa continuando a suonare fino all’ultimo, e la data tenuta in Francia solo tre giorni prima della morte sarà ricordata come quei concerti allo Scene di New York sul finire degli anni ’60 quando il suo talento naturale fu notato dai discografici della Columbia e la sua cavalcata ebbe inizio ( tutto è ben impresso nel recente box TRUE TO THE BLUES). Nonostante l’artrite lo stesse piano piano consumando, mettendo ancor più in evidenza le conseguenze dello stile di vita selvaggio condotto in gioventù, Winter sotto il cappellaccio, lungo i bordi dei suoi tatuaggi sbiaditi e vissuti, dentro ai tendini tesi, attraverso l’inseparabile chitarra diventata un prolungamento dell’esile corpo, nascondeva ancora il fuoco eterno di chi senza musica non poteva rimanere nemmeno un giorno. STEP BACK esce postumo ma non è un triste epitaffio bensì un manifesto di pulsante vitalità di un settantenne ancora smanioso di mettersi alla prova con la musica, che ama giocare con la varietà degli stili, confrontarsi con i suoi tanti epigoni.
La passerella di ospiti è lunga: Ben Harper, Billy Gibbons, Eric Clapton, Joe Perry, Dr. John, Leslie West, Joe Bonamassa. STEP BACK è il naturale successore del precedente ROOTS (2011): dischi che pongono fine al lungo silenzio discografico che durava dal 2004 e nati per tributare quel genere musicale che contribuì a svecchiare fin dal suo folgorante debutto del 1969 e che culminò quando riportò alla vita artistica un “padre” come Muddy Waters. Blues e rock’n’roll (Long Tall Sally), ciò che ascoltava alla radio quando era appena dodicenne: dall’ inaspettata Unchain My Heart di Ray Charles (e portata al successo da Joe Cocker) con i fiati dei Blues Brothers Horns ed una prestazione vocale di tutto rispetto, qui canta non graffia, a Killing Floor di Howlin’ Wolf con l’amico e produttore Paul Nelson, al rockabilly Okie Dokie Stomp con Brian Setzer fino ai due preziosi numeri condotti in solitaria. C’è un plettro firmato dentro alla confezione di questo ultimo disco “di vita”, è l’ultimo omaggio lanciato dal chitarrista albino (ma più nero di tutti) ai propri fan. Cala il cappello, lascia lo sgabello ed esce silenziosamente di scena.
Enzo Curelli 8   da Classic Rock #25

vedi anche
RECENSIONE: JOHNNY WINTER-Roots (2011)

2 commenti:

  1. Ho appena scoperto il tuo blog che mi sembra una miniera di ottimi consigli! Questo lo avevo già, ma mi pare un ottima scusa per riascoltarlo!

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