lunedì 3 novembre 2014

RECENSIONE: NEIL YOUNG (Storytone)

NEIL YOUNG  Storytone (Reprise Records, 2014)



Alcuni versi di I Want To Drive My Car ritraggono splendidamente ciò che è, e non è, Neil Young oggi. Perché ancora nessuno di noi l'ha capito bene. Diciamo la verità. Un uomo, un anziano rocker-se vogliamo esagerare ed essere cinici e realisti-di 69 anni che vive la sua vita dentro ad un vortice creativo in  continuo sconquassamento ma che va a pari passo con la sua vita sociale, le sue idee e la più intima vita privata. Un tutt'uno. Un blocco da prendere per intero così com'è. In I Want To drive My Car, un bel blues, canta: "voglio guidare la mia auto, voglio guidare la mia auto, sempre più avanti lungo la strada, voglio guidare la mia auto, ho bisogno di un posto dove andare...devo trovare la mia strada". Versi semplici, ingenui, ma c'è tutto. C'è l'amore per le automobili, ben rappresentato dall'acquerello in copertina e nei disegni che illustreranno la seconda parte di biografia in uscita (Special Deluxe: A Memoir of Life & Cars) che partirà proprio dalla sua collezione di automobili per snocciolare aneddoti di carriera, percorsi di strada e amici; c'è la continua ricerca del posto ideale dove poter vivere serenamente, luogo che nella sua testa esiste già ed è dipinto di ecologico verde; c'è il tormentato amore che dopo 36 anni di matrimonio con Pegi Young ha imboccato la strada che porta verso una nuova fiamma, l'attrice Daryl Hannah che condivide con lui l'impegno ambientalista; c'è la voglia di mettersi continuamente alla prova come artista, assecondando tutte le idee che passano tra la sua testa: l'altro ieri era la cabina sforna 45 giri di Jack White, un posto bizzarro dove poter registrare (volutamente male) un intero disco di vecchie cover, oggi è un'orchestra di 92 elementi sotto la regia di Michael Bearden e Chris Walden a cui ha dato carta bianca per rimpolpare le sue canzoni all'osso, nate acustiche naturalmente.
Altro doppio come Psychedelic Pill (dieci canzoni acustiche e dieci canzoni, le stesse, risuonate con l'orchestra, ma solo nella deluxe edition, consigliata), altro ambizioso progetto ma interessantissimo per poter saggiarne lo stato della  vena creativa (buona) e vedere lo sviluppo delle canzoni, dieci buone canzoni. Nel primo disco, il più tradizionale e meno sorprendente per alcuni versi, troviamo il lato primitivo e solitario in bilico tra la tesa drammaticità al pianoforte di un album epocale come After The Goldrush  (i rimpianti amorosi della bella Plastic Flowers, tutto il nuovo amore in I'm Glad I Found You e Glimmer) e la bucolica passeggiata tra i campi di Harvest prima, di Harvest Moon dopo, accompagnata da pianoforte, voce, chitarra e armonica che tingono il quadro di lievi colori, con alcune piccole gemme dove canta di nuove albe e nuovi amori: All Those Dreams , la commovente e "younghiana che più younghiana" non si può When I Watch You Sleeping e la ancor più leggera Tumbleweed.
"Quando ti guardo dormire, non c'è nulla che tu possa nascondere, quando ti sento respirare, c'è dolcezza intorno..." canta in When I Watch You Sleeping
La presenza dell'orchestra, invece, poteva spaventare, perché se i rimandi a A Man Needs A Maid e There’s A World  evocano i piacevoli ricordi di Harvest  (altro pathos aleggiava nel ’72 comunque), dietro l'angolo incombeva minacciosa la mannaia della magniloquente pomposità che se ripetuta per dieci volte, poteva trasformarsi in un pesante martellata data alle parti basse. " Sapevamo che era un'esagerazione ma lo avevamo fatto e lo adoravamo" scrive in Il Sogno Di Un Hippie a proposito di quelle registrazioni datate 1972 con la London Symphony Orchestra e Jack Nitzsche. Oggi, potrebbe ripetere le stesse parole.
Nulla di tutto questo però, anzi, anche il drammatico crescendo del nuovo inno ecologista Who’s Gonna Stand Up sembra acquistare il giusto valore, rispetto alla più tamarra versione presentata nei live estivi con i Crazy Horse (per me ha pagato lo scotto di essere l'ultima canzone in scaletta). Piace perfino quando si infila il vestito tutto paillettes e lustrini da sabato sera, si trasforma in crooner, e in  Say Hello To Chicago ritorna al R&B con tanto di big band al seguito, facendo riferimento a un disco da rivalutare assolutamente come This Note's For You. In quel 1988 dietro al bancone di regia c'era Niko Bolas, oggi pure, e i due si conoscono bene anche se si nascondono da sempre dietro al nome "Volume Dealers". I Want To Drive My Car diventa un trascinante e affascinante blues con chitarre elettriche (le poche presenti lungo tutto il disco), e fa coppia con Like You Used To Do.
Sintetizzato, questo è un atto d'amore verso la vita, sincero e pure ingenuo in molti punti, ma sempre vero. L'ennesimo. Un contrasto vincente-e confuso- come lo è stata tutta la sua carriera: Neil Young è innamorato come un ragazzino ma ha un ingombrante peso dentro da espiare dopo una relazione importante finita, la terra su cui vive gli sta a cuore ma la vede continuamente minacciata, i suoi hobby lo tengono talmente impegnato da diventare i fari guida delle sue autobiografie. In pochi mesi ha portato a termine un tour elettrico con i Crazy Horse, si è rinchiuso dentro ad una cabina di un metro quadrato  con una chitarra acustica, ha aperto i portoni ad un'orchestra, ha finito un altro libro, e chissà cos'altro che non sappiamo. Tutto questo mentre deve ancora trovare la sua strada. Ecco il segreto: non stancarsi mai di macinare chilometri di esperienze.
O stai dalla sua…o lo hai abbandonato da tempo.
Voi da che parte state?


vedi anche RECENSIONE:NEIL YOUNG & CRAZY HORSE-Americana (2012)




vedi anche RECENSIONE: NEIL YOUNG & CRAZY HORSE-Psychedelic Pill (2012)



vedi anche RECENSIONE: NEIL YOUNG-Live At The Cellar Door (2013)




vedi anche RECENSIONE: DAVID CROSBY-Croz (2014)




vedi anche NEIL YOUNG & CRAZY HORSE live @ Barolo, Collisioni, 21 Luglio 2014


vedi anche COVER ART#4: NEIL YOUNG (On The Beach, 1974)












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