giovedì 12 giugno 2014

RECENSIONE: GUY LITTELL (Whipping The Devil Back) & INTERVISTA a GUY LITTELL

GUY LITTELL Whipping The Devil Back (autoproduzione, 2014)



Tre anni fa, avevo lasciato Guy Littell dietro alla rete che sembrava fuoriuscire dalla copertina e avvolgere il precedente Later, fuori un sole cercava inutilmente di penetrare le pur larghe maglie metalliche. Quel sole non è ancora riuscito a far breccia sulla sua arte, rimanendo un ospite indesiderato. Almeno apparentemente, visto che l'apertura Lonely And Happy Night è un raggio che splende di luce propria. Non è un male. A fine disco lo direte anche voi: "non è un male!". Whipping the Devil Back è un disco essenziale, scarno, ancor più del debutto (prima ancora uscì con l'EP The Low Light And The Kitchen nel 2009), fatto di chitarre acustiche, di chitarre elettriche che intrecciano e allungano il giusto (Lovely People, Cedar Forest), un pianoforte (Deep Enough) e poco altro, registrato e prodotto nuovamente a casa di Ferdinando Farro, con la cura di preservare tutta la primordiale autenticità.
Un diario sofferto ma ottimista, intimista ma aggregante, nato, pensato e scritto durante le ore trascorse durante il lavoro in un albergo che ha tenuto impegnate le notti di Gaetano Di Sarno (questo il suo vero nome, Torre Del Greco la sua città) per un buon periodo di tempo. Lì il sole non batteva mai, e la solitudine dell'attesa, a volte travestita da noia aspettando l'arrivo dell'alba, cercava compagnia frugando tra le ombre e le luci, trovando la propria interiorità (Waiting For My Shift To Start), e mettendo in moto una sopraffina sensibilità di scrittura in grado di scavare in profondità. Molte di queste canzoni nascono lì, da un osservatorio privilegiato in grado di scrutare tra il calare del buio e la solitudine delle persone, a tarda notte, di prima mattina. Scompaiono in parte gli scatti elettrici e più arditi che animavano il precedente Later, viene lasciata alla porte quella poca elettronica di matrice wave che disturbava-pure bene-, sostituiti dai non meno incisivi scatti dell'anima. Rimangono la forza espressiva e sofferta di canzoni nate per riscattare e dare un senso ad episodi di vita che altrimenti passerebbero in secondo piano, addirittura persi, senza una dovuta ribalta. Uniche concessioni in aggiunta al "poco": i campionamenti d'archi che fanno capolino in Every Tiny Drop Of Light, la battente Need You Have You che si stacca dal mood del disco, ripercorrendo alcune vie più audaci del precedente album  e l'armonica dell'ospite Steve Wynn (Dream Syndicate, The Baseball Project) che regala a Whipping The Devil Back il passo della perfetta folk song e un punto in più in fase di promozione. "Il fatto che lui suoni l'armonica proprio su questa canzone mi fa particolarmente piacere in quanto è stata tra le prime a nascere per il nuovo album, la prima a regalarmi quel guizzo speciale che non sentivo da un po'". Sono però sicuro che Gaetano, dall'alto della sua coerenza, non userà una presenza così prestigiosa per far girare il proprio nome-questo lo faremo noi scribacchini-, perché l'omogeneità del disco, tarata verso l'alto, parla da sola ed è più forte di tutto.
In conclusione ad una intervista che accompagnò l'uscita del precedente Later, mi disse che tra i suoi sogni c'era il desiderio di poter lavorare ad una colonna sonora: ebbene, Whipping The Devil Back è la soundtrack dell'anima di Guy Littell. Una parte di anima. Credo che abbia ancora tanto da mostrarci.


7 DOMANDE a GUY LITTELL...

-La prima cosa che ho notato è un'essenzialità ed una omogeneità musicale (quasi da instant record) ancora più marcate rispetto al precedente 'Later'. Forse la sola 'Need You, Have You' sembra riprendere alcuni spunti più arditi presenti in 'Later'. Una scelta studiata?
Hai notato benissimo. Volevo fare un disco più essenziale rispetto a Later, un disco che sentissi "mio" ancora di più. Tutto ciò si è tramutato negli arrangiamenti scarni e nella scelta di suonare gran parte degli strumenti. Volevo che il mio songwriting venisse fuori in maniera nitida. Need You, Have You capisco che richiami alcuni spunti arditi di Later ma è comunque molto più essenziale di qualsiasi brano di quell'album.  Per quanto riguarda l'"instant record", direi che ci siamo ancora una volta, in parte: l'istinto è qualcosa che caratterizza da sempre il mio songwriting, cerco di lavorare ai brani il meno possibile una volta che sono nati, è sempre stato così , e ovviamente gli arrangiamenti scarni di questo nuovo album rendono la cosa ancora più palese, proprio come volevo. Una specie di "instant record" che adoro è Stereo di Paul Westerberg, che contiene anche  canzoni nate ed eseguite col partire del nastro, grandi canzoni.

-In una intervista rilasciata a radio Cometa Rossa dopo/prima il concerto che hai aperto per Dan Stuart/Antonio Gramentieri hai detto che molte canzoni sono nate per rompere la routine del tuo lavoro come portiere notturno in un albergo. Curioso. Cosa succede di notte? Cosa hai trovato oltre la tua interiorità?
Era un po' diverso: ho detto che gran parte delle canzoni sono nate in seguito alla rottura della routine che vivevo prima di iniziare il lavoro. (Ho sbagliato routine). Il cambio di ritmo delle giornate, incontrare gente nuova mi ha donato linfa vitale per scrivere nuovi brani. Prima di iniziare questo lavoro avevo già cominciato delle sessioni di registrazione ma non mi convincevano troppo, mancava qualcosa, mancava quel guizzo che ti anima. Giusto un paio di settimane dopo spunta questo lavoro e mi fa un regalo di inestimabile valore: farmi scrivere canzoni nuove di zecca.
E' un lavoro che ancora faccio di tanto in tanto. Cosa succede di notte? Beh, non molto, all'inizio mi annoiavo abbastanza poi pian piano ho riscoperto i film in streaming e ho imparato a gestirmi un po' meglio il tempo. Non è mai successo nulla di particolare, si sta tranquilli, spesso si può anche dormire. Alcuni brani ne parlano chiaramente, ma non tutto il disco...

-Come si è svolto, in senso pratico, il lavoro con Steve Wynn. Avete lavorato a distanza? Immagino sia stato un piccolo sogno avveratosi avere il suo nome nel disco?
Steve l'ho conosciuto aprendo un suo concerto a Napoli 3 anni fa. Da allora siamo diventati amici e ci scriviamo via email con una certa regolarità. Un giorno gli ho chiesto se gli andasse di suonare qualcosa su un mio brano, lui mi ha risposto di si ed io gli ho inviato via email la title track Whipping The Devil Back. Il fatto che lui suoni l'armonica proprio su questa canzone mi fa particolarmente piacere in quanto è stata tra le prime a nascere per il nuovo album, la prima a regalarmi quel guizzo speciale che non sentivo da un po'. E' stato senza dubbio un piccolo sogno avveratosi essendo un fan della sua opera, del suo songwriting  e spero di poter collaborare con lui ancora, in futuro. Intanto, proprio in questi giorni, ci siamo ripromessi di ripetere l'esperienza napoletana la prossima volta che ci viene.
-Nella recensione, ho volutamente omesso qualsiasi paragone, riferimento o collegamento a altri artisti. Vuoi dirmeli tu i tuoi punti di riferimento musicali?
Beh direi Neil Young senza dubbio, Elliott Smith, Lanegan...ma anche i primi Oasis, il primo Elton John, Nirvana, Alice In Chains (periodo Layne Staley), Lucio Battisti, Big Star...tutta musica che in modi diversi mi ha scosso emotivamente ed ha messo un punto, un nuovo punto dal quale partire nel mio approccio alla musica, in tutti i sensi.

-La scelta dell'autoproduzione è sempre più spesso una scelta consapevole e sinonimo di libertà artistica. Anche per te o sotto sotto c'è qualche desiderio...
La libertà è un bisogno che viene da se, io ne ho bisogno, chi è più flessibile in merito sceglie altre strade, spesso fatte di forti compromessi. Sotto sotto c'è sempre un desiderio molto terreno che in parte sto già realizzando: avere persone che mi sostengono con vera passione, interessate a stabilire un contatto vero, uno scambio di opinioni, perchè davvero a me interessa solo la musica e nient'altro...se le basi sono come dico io allora posso pure iniziare ad affrontare altri aspetti della faccenda con rinnovato interesse, perchè ovviamente capisco che occorre servirsi di persone con una sensibilità diversa per curare certi aspetti. Se dall'altra parte però non vedo esseri umani con delle emozioni ma dei robots interessati solo ai soldi, senza opinioni, non se ne fa nulla. Non capisco proprio questo odierno omologarsi senza personalità a cosa porti, cosa ci sia di tanto eccitante nel sentirsi e vedersi tutti uguali. Gente disposta a spendere soldi per comprarsi l'entusiasmo altrui per il proprio lavoro...emotivamente omologata...senza capire che molto spesso si vede da 100 km di distanza che stanno recitando una parte, che non sono loro stessi e questo è profondamente triste e scoraggiante. Questo non vuol dire che non ascolti giovani gruppi venuti alla ribalta, di certo non mi ammazzo per ascoltarli tutti. Un paio di anni fa ti dissi che mi era piaciuto  Bloom dei Beach House.

-Come proseguirai la promozione del disco?
Con Stefano Grimaldi di Revolver Lab, con me sin dai tempi di Later, stiamo pianificando un tour, poi dovrebbe uscire anche un video...l'attività live è la cosa più importante e ci teniamo a fare un buon lavoro.

-Siamo a metà anno, hai qualche disco da consigliare...
Di quelli ascoltati fin'ora direi Do to the beast degli Afghan Whigs , Me And The Devil di Chris Cacavas e Edward Abbiati , Morning Phase di Beck , 3rd dei The Baseball Project, altro progetto del mio amico Steve Wynn e Lost In The Dream dei The War On Drugs.

vedi anche:
RECENSIONE: GUY LITTELL-Later (2011)
INTERVISTA a GUY LITTELL 2011
RECENSIONE & INTERVISTA: MATT WALDON-Learn To Love (2014)
RECENSIONE: MARC FORD-Holy Ghost (2014)


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