lunedì 5 maggio 2014

RECENSIONE: BLACK LABEL SOCIETY (Catacombs Of The Black Vatican)

BLACK LABEL SOCIETY  Catacombs Of The Black Vatican  ( eOne, 2014)



Riportati i livelli degli esami medici alla pari, età e vizi iniziano a farsi sentire anche per il verace Zakk Wylde, il "vichingo yankee" per eccellenza è pronto per una nuova sfida con la consueta baldanza che lo contraddistingue fin dal suo alto esordio in "società" avvenuto con No Rest For the Wicked di Ozzy Osbourne nel 1987, quando da imberbe ragazzetto del New Jersey accettò la sfida di coprire il posto appartenuto prima a Randy Rhoads poi a Jake E. Lee, portandosi a casa il rispetto degli scettici e ponendo la sua Les Paul sul piedistallo di quelli che contano, fino ad arrivare alla summa del loro sodalizio, mai più eguagliato in verità, con No More Tears (1991). Uno che non le manda mai a dire. Un puro, un genuino, sanguigno, uno che in barba (e che barba) ad ogni finto protocollo commerciale non ha mancato occasione per ribadire che questo suo ultimo disco è uguale a tutti quelli che ha fatto fino ad ora. Confermo è così (non sempre è un male, anzi). Prendere o lasciare. Io prendo volentieri, perché personaggi così nascono raramente, perché di fondo nei suoi dischi esiste già abbastanza varietà musicale che moltissimi altri musicisti si sognerebbero.
Con una copertina brutta assai e un titolo che parrebbe suonare blasfemo, in verità i "black vatican" non sono altro che i suoi studi di registrazione di Los Angeles tutti pittati di nero, e lui è pure cattolicissimo, queste dodici canzoni hanno l'arduo compito di seguire il precedente e ottimo Order Of The Black (2010) con la penalizzazione di non avere più il fraterno chitarrista Nick Catanese in squadra (sostituito da Dario Lorina) ma con i soli John DeServio al basso e Chad Szeliga alla batteria, e ci riescono, mettendo sul piatto molta più salsa piccante (non solo quella commestibile prodotta dallo stesso Wylde) intorno alle canzoni. La presenza di numerose e malinconiche ballads in bilico tra cantautorato e roots sono la conferma della sua poliedricità artistica che già lo strepitoso disco a suo nome (Book Of Shadows) ed il recente live acustico Blackened (2013) ci avevano fatto conoscere: Angel Of Mercy si bagna di lacrime tra un assolo e arrangiamenti d'archi, Scars cuce le cicatrici dell'anima con insospettata dolcezza, Shades Of Gray è forse di troppo ma chiude l'album in discesa e tutta tranquillità.
Non mancano i consueti macigni mid-tempo (il trittico iniziale Fields Of Unforgiveness, My Dying Time, Believe), I ve Gone Away, la forte pigiata del piede sull'acceleratore in Damned The Flood, tutto l'amore dichiarato per gli Alice In Chains dell'amico Jerry Cantrell in Beyond The Down, per il southern rock come già dimostrato in passato con il mai dimenticato progetto Pride & Glory ( Zakk nel 1993 suonò anche con gli Allman Brothers Band per una sola sera, in sostituzione dell'assente Dicky Betts), gli assoli disseminati lungo tutte le canzoni senza mai sbrodolare, e tutto l'amore per i Black Sabbath in  Empty Promises che potrebbe benissimo essere la quattordicesima traccia che manca a 13. Nella deluxe edition: la killer Dark Side Of The Sun e la semi-ballad The Nomad in più.
Insomma, è vero, non manca nulla per rendere questo disco uguale a tutti gli altri.
Amen.



vedi anche RECENSIONE: BLACK LABEL SOCIETY-Order Of The Black (2010)
vedi anche RECENSIONE: BLACK LABEL SOCIETY-The Songs Remains Not The Same (2011)
vedi anche RECENSIONE: THE NASHVILLE PUSSY-Up The Dosage (2014)
vedi anche RECENSIONE: BIGELF-Into The Maelstrom (2014)

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